sabato, febbraio 24, 2007

Andy Warhol


Parliamo del geniale Andy Warhol, l’uomo che inventò l’arte “serial” dei giorni d’oggi, scomparso a New York esattamente vent’anni fa dopo un banalissimo intervento chirurgico alla cistifellea. Padre della Pop art, Warhol ha senza dubbio dato l’impronta agli ultimi decenni del Ventesimo secolo, come dimostrano le quotazioni delle sue opere altissime ancor oggi. Nato nel 1928 a Pittsburgh, da una famiglia romena emigrata, Warhol inizia la carriera artistica solo intorno al ‘60. Dal 1945 al 1949 studia arte presso il “Carnegie institute of technology” e nel 1950 comincia a lavorare come grafico pubblicitario a New York. È soltanto nel 1960 che Warhol intraprende la sua carriera artistica, che in brevissimo tempo lo porterà ad essere la personalità di spicco della Pop art americana che interpreta i temi più tipici della cultura di massa americana, a volte ironizzandoli, a volte amplificando i suoi innegabili effetti di suggestione. Sempre nel ‘60, Warhol comincia la sua caratteristica produzione di immagini trattate con una nuova tecnica: la serigrafia. L’artista fotografa un soggetto, lo sviluppa in diapositive, proietta la diapositiva su una tela bianca e copia l’immagine prima a matita e in seguito con colori acrilici. Le sue opere più famose sono diventate delle icone: Marilyn Monroe, Mao Zedong, Che Guevara e tante altre. La ripetizione era il suo metodo di successo: su grosse tele riproduceva moltissime volte la stessa immagine alterandone i colori (prevalentemente vivaci e forti). Prendendo immagini pubblicitarie di grandi marchi commerciali (famose le sue bottiglie di Coca Cola, le lattine di zuppa Campbell’s e i detersivi Brillo) o immagini d’impatto come incidenti stradali o sedie elettriche, riusciva a mettere a disagio il visitatore proprio per la ripetizione dell’immagine su vasta scala. La sua arte, che portava gli scaffali di un supermercato all’interno di un museo o di una mostra d’arte, era una provocazione nemmeno troppo velata che doveva essere consumata come un qualsiasi altro prodotto commerciale. Warhol ha spesso ribadito che i prodotti di massa rappresentano la democrazia sociale e come tali devono essere riconosciuti: anche il più povero può bere la stessa Coca Cola che beve il presidente degli Stati Uniti o Elizabeth Taylor. Nell’universo “warholiano” così legato alla cultura di massa, non poteva quindi mancare il cinema e cioè Hollywood e le sue star. La mitologia, che i mass media generano, trova nella star cinematografica la sua incarnazione più suggestiva, soprattutto in anni in cui la tv non aveva ancora imposto i propri divi. Tutti i ritratti vengono eseguiti tra il 1962 e il 1966: l’artista stampa le serigrafie dei ritratti ufficiali degli attori (cioè le foto già ritoccate dai fotografi delle agenzie per abbellire i personaggi), ripetendole in serie su tele di grandi dimensioni. Raramente interviene con il colore; più spesso, l’immagine viene lasciata in bianco e nero, mentre cambia il colore dello sfondo. Ecco allora i divi di Hollywood: Warren Beatty, Nathalie Wood, Marlon Brando, Elvis Presley, ma soprattutto Marilyn Monroe: il volto dell’attrice viene trattato con diverse combinazioni di colori, ed è, anzi, solo il colore ad identificare i ritratti. Marilyn Monroe è trattata come un’icona predisposta all’adorazione feticistica, esattamente come i ruoli che le riservava il cinema. Il mito Marilyn è diventato tale dopo il suo suicidio, ed è stata, forse, la frattura tra immagine pubblica e vita privata a spingere l’attrice verso la morte, estremo bisogno di autenticità in un universo di bugie, come doveva essere a quel tempo Hollywood. Warhol realizza queste opere pochi giorni dopo il suicidio dell’attrice, sull’onda della grande emozione che si andava diffondendo nel mondo. La Marilyn di Warhol è l’immagine di una donna morta perché non riusciva più ad identificarsi nello stereotipo di se stessa. In queste opere è impossibile non cogliere la denuncia e la protesta, espressa con il semplice replicare l’espressione radiosa e un po’ assente dell’attrice. I barattoli di minestra Campbell’s sono, accanto ai ritratti di Marilyn Monroe, i tratti distintivi di Andy Warhol. Anzi, spesso sono stati assunti a simbolo della Pop art a stelle e strisce. La loro fama ha travalicato i ristretti confini dell’arte: è stato addirittura detto che le Campbell’s soup cans non sono più solo minestra in scatola, ma Pop art. Con queste opere l’artista sottolinea lo stretto legame che dovrebbe unire l’arte alla vita quotidiana. In questo modo vi è l’ennesima sdrammatizzazione del grande gesto creatore romanticamente attribuito all’artista. Ma Andy Warhol non è solo Pop art: il suo genio lo ha portato a sperimentare anche altre forme di comunicazione, come ad esempio il cinema e la musica: ha prodotto alcuni lungometraggi e film, ha supportato alcuni gruppi musicali - in primis i Velvet Underground con Lou Reed, la cui famosissima copertina dell’album d’esordio è stata disegnata dallo stesso Warhol -, ha scritto libri e biografie. Il pensiero commerciale di Warhol spaziava insomma in ogni campo. L’artista, che si è sempre dichiarato pubblicamente omosessuale (fatto moralmente non accettato nell’America negli anni ‘60) è stato più volte censurato per i contenuti dei suoi lungometraggi: “My Hustler”, “Blow Job” (telecamera fissa per 35 minuti sul volto di un uomo che riceve una fellatio) e “Lonesome Cowboys” sono alcuni esempi di film che ritraggono la cultura gay newyorkese del tempo, censurati e distribuiti solo con il passaparola. Altri lavori, certamente d’avanguardia, mostrano ad esempio 8 ore di sonno di un uomo (“Sleep”): in soli cinque anni Warhol produsse oltre 60 film, cortometraggi e lungometraggi di sperimentazione artistica attraverso la telecamera. Alcuni di questi film furono trasmessi al pubblico dopo trent’anni dalla data di pubblicazione dei lungometraggi, soprattutto in occasione di mostre ed antologie del pittore organizzate in molti musei del mondo. Il 3 giugno 1968, un’artista frequentatrice della “Factory” (uno spazio fondato dall’artista in cui giovani artisti newyorkesi potevano trovare uno spazio collettivo per creare), sparò a Warhol e al suo compagno di allora, Mario Amaya. Entrambi sopravvissero all’accaduto, anche se Warhol riportò gravi ferite e si salvò in extremis. Valerie Solanas dichiarò di aver sparato perché Warhol aveva troppo controllo sulla sua vita: successivamente scrisse anche una sceneggiatura dell’accaduto proponendola addirittura allo stesso Warhol, che rifiutò categoricamente.

sabato, novembre 25, 2006

Nomadi


Correva l’anno 1963 e Augusto Daolio, cantante e Beppe Carletti, tastierista, due ragazzi di 16 anni, fondavano il gruppo de "I Nomadi", inizialmente composto da sei persone, poi ridotte a cinque l’anno seguente. Da subito è vita on the road, serate nelle balere.È il 1965 l’anno dell’ingresso nel mercato discografico con "Donna, la prima donna", un 45 giri che fa conoscere questo affiatato quintetto. L’anima novellarese del complesso è rappresentata, oltre che da Augusto Daolio, nato e vissuto nella nostra terra, da Franco Midili e da Gabriele "Bila" Copellini. Beppe Carletti è di Novi di Modena, ma a Novellara si sposa, Gianni Coron invece risiede a Modena. Stiamo parlando della formazione storica della band, quella per intenderci che ha spopolato con pezzi quali "Come potete giudicar", "Dio è morto", "Noi non ci saremo", "Canzone per un’amica", che ha presentato al grande pubblico, con una buona dose di coraggio, il genio compositivo di Francesco Guccini. Con la fine degli anni sessanta si chiude un epoca, scompaiono anche nel campo musicale molti artisti. I Nomadi vedono ripagata la loro scelta impegnata, l’avere dato un particolare rilievo ai testi dei loro brani e si presentano con una formazione parzialmente rinnovata al nuovo decennio con un successo travolgente "Io vagabondo (che non sono altro)" scala le classifiche di vendita. E’ il 1972.La musica del gruppo novellarese varca i confini nazionali, i Nomadi incidono anche in spagnolo, si recano in Inghilterra, a Londra.Con l’ausilio del produttore Dodo Veroli, con loro dal 1966 percorrono nuovi sentieri, incontrano nuovamente Francesco Guccini, con il quale registrano dal vivo "Album concerto", ennesimo successo. Della formazione originaria ormai rimangono solamente Beppe Carletti e Augusto Daolio. Alla fine del 1984 entra nella formazione un giovanissimo bassista di Fabbrico, Dante Pergreffi, una ventata di allegria e di entusiasmo. Il primo luglio del 1990 nel vecchio campo sportivo di Novellara, la band, dopo un forzato stop di nove mesi, partorisce una nuova formazione: ad Augusto, Beppe e Dante, si aggiungono Cico Falzone, chitarrista e Daniele Campani, batterista. E’ una serata memorabile, una vera rinascita, nel segno di "sotto il cielo di Novellara batte un cuore NOMADE", espressione coniata da Augusto ed impressa su centinaia di adesivi per suggellare l’evento.Ricomincia un successo stupefacente. Una rinnovata energia vitale pervade il gruppo: nascono brani destinati a divenire delle colonne portanti della storia del gruppo. "Gli aironi neri", "Ma noi no", i Nomadi tornano nelle classifiche di vendita, i concerti si susseguono senza interruzione. Il 1992, preannunciatosi come anno di ulteriori grandi successi, è invece il più nero, il più nefasto della storia dei Nomadi. Il 14 maggio in un incidente stradale muore Dante Pergreffi, trent’anni. Entra nel gruppo la giovanissima Elisa Minari, di professione studentessa, bassista per passione. L’8 agosto a Masone di Genova Augusto si esibisce per l’ultima volta in uno spettacolo. Stroncato da una malattia Augusto si spegne il 7 ottobre. Non è semplice descrivere chi era e cosa rappresenta ancora oggi il cantante dei Nomadi. Migliaia di fans vengono continuamente a rendergli omaggio, a ringraziare quello che è stato uno degli artisti di maggior rilievo nel panorama musicale italiano. Un artista completo. Augusto Daolio cantante sì, ma anche compositore, pittore, scultore, uomo dalle mille risorse e dalla grande umanità, costituisce sicuramente un pezzo rilevante della storia nel nostro paese. La morte di Augusto sembra segnare la fine del gruppo.Il 13 marzo 1993 è un’altra data cruciale nella storia della band. La ripresa dell’attività avviene in quel di Levico, nel Trentino, in un teatro tenda stracolmo. Entrano nel gruppo Danilo Sacco, voce e chitarra e Francesco Gualerzi, voce e polistrumentista. Nel giugno del 1993 a Novellara si celebrano trent’anni di Nomadi, una tre giorni di spettacoli, con l’intervento di ospiti vari. I Nomadi tornano a varcare i confini nazionali, anche e soprattutto per iniziative umanitarie: Tibet, Cuba e Palestina sono gli esempi più recenti. Nasce una collaborazione con il gruppo cileno degli Inti Illimani. L’Italia pullula di Nomadi fans club (oltre 140). Da sempre al di fuori dei grandi circuiti commerciali, i Nomadi nuovamente in sei, come agli inizi, rispondono sul campo, partendo dalla gente e con la gente, attraversando piccole comunità e paesi come Novellara, poggiando sul calore degli amici, che affollano i concerti, con la stessa energia, la stessa carica, gli stessi sogni di trent’anni fa.E ogni anno a Novellara, ancora una volta con sentimento, SEMPRE NOMADI.

domenica, maggio 07, 2006

Michel Petrucciani



MICHEL PETRUCCIANI,
nato a Orange in Francia il 28 dicembre 1962, morto a New York U.S.A. il 06 gennaio 1999.Giovane talentuoso pianista nato da genitori italiani emigrati in Francia, figlio d’arte cominciò a suonare proprio nella band del padre Tony, chitarrista e del fratello Louis, bassista.Nato con una malformazione dovuta alla Osteogenesis Imperfecta, meglio conosciuta Ossa di Vetro, che causa lo stop della sua altezza solo circa 90 cm. e del suo peso circa 23 kg (50 libbre), indebolendo tutte le sue ossa.All’età di 4 anni scopre il pianoforte, e una sera guardando una performance in televisione di Duke Ellington, disse indicando lo schermo “suonerò quello strumento”; così i suoi genitori quell’anno a Natale gli regalarono un piccolo pianoforte giocattolo, che Michel però ruppe con un martello, ne voleva uno vero.Il padre comprò così un vecchio piano , al quale fece fare anche la modifica in modo che Michel potesse arrivare ai pedali.Studia per 8 anni musica classica, per poi rivolgersi allo studio del jazz che sarà poi la musica che darà sfogo alla vena musicale di Petrucciani.A 30 anni dopo tanti anni di studio, esce il tributo a colui che aveva per primo ispirato Michel, PROMENADE WITH DUKE, album assolo.Nel 1992 altro ringraziamento, questa volta al padre che tanto lo aveva aiutato nella riuscita della sua carriera, con una tournèe “LIKE FATHER, LIKE SON”.Torniamo indietro nel tempo, appena 13enne, Michel fece il suo primo concerto dal vivo da professionista al Festival di Cliousclat. Fu portato sul palcoscenico e come abbiamo detto le difficoltà dovute alla sua altezza per arrivare ai pedali del pianoforte, furono annullate dalla straordinaria capacità e tecnica delle sue mani, suonando con vigore sorprendente ed entusiasmo. Nello stesso festival suonò con il trombettista americano Clark Terry, che per la fortuna di Michel necessitava di un pianista per il suo concerto. Quando Petrucciani gli disse che avrebbe suonato con lui, lo stesso Terry pensava ad uno scherzo, ma dopo aver finito il concerto ci fu un grande abbraccio, così cominciava una grande collaborazione. Alcuni mesi dopo la fine della tournèe con Terry , un grande incontro importante avvenne nel sud della Francia con Chuck Israel bassista di Bill Evans, idolo di Petrucciani, apprezzò molto il lavoro di Michel e decise di aiutarlo facendolo incontrare con il batterista Kenny Clarke. Clarke fece fare molta strada a Petrucciani, le cose cominciarono ad andare bene e molti furono quelli che diedero la giusta importanza al lavoro del pianista. Nel 1980 Petrucciani fu invitato a registrare con il batterista Aldo Romano, il trombonista Mike Zwerin e suo fratello Louis al basso. Petrucciani e Romano si erano conosciuti in un villaggio turistico due anni prima, e Michel spesso parlando di lui lo menzionava come il suo Angelo Custode. Insieme registrarono un’ora di musica, incontro flash con risultato straordinario. Un successo. Sulle ali di questo successo formarono un trio con Romano alla batteria Jean François Jenny Clark al basso e Petrucciani appunto al piano.Quell'anno si esibirono per la prima volta al Festival di Jazz di Parigi, al Teatro de la Ville. L'anno seguente, Michel decise, per sfida, di partire per l’America. Atterrato a New York un amico gli diede l'indirizzo di un musicista della Costa Occidentale. Arrivato in California da Charles Llyod si ritira due settimane dopo, non consapevole che Charles era stato il primo a scoprire il giovane Keith Jarrett, pianista degli anni 1960. Una volta sentito che Michel era anche un pianista di jazz, Llyod suggerì di suonare qualcosa col suo Steinway. Dopo aver sentito la breve performance Lloyd prese il suo saxofono e per due giorni suonarono senza interruzione. Quest'avventura insieme durò cinque anni ed ebbe come risultato 3 album. Llyod aprì realmente ogni porta per Michel, non sarebbe potuto essere un inizio migliore per la sua carriera in America. Il trasloco in California nel 1982, ha unito Charles Llyod al trio fomando così un quartetto nuovo. Un assolo di Michel alla Carnegie Hall al Kool Jazz Festival con risultato di critica eccezionale.In pochi anni, Michel lavorò con alcuni dei jazzisti migliori nel mondo. Fra loro c’erano dei batteristi del calibro di Al Foster, Jack DeJohnette; tra i bassisti Dave Holland, Gary Peacock, Eddie Gomez, Stanley Clarke e Cecil McBee; e ancora tra i chitarristi Jim Hall, John Abercrombie, John Scofield; i saxofonisti Lee Konitz, Warne Marsh, Joe Lovano, Joe Henderson, Wayne Shorter, David Sanborn e Gerry Mulligan, e non si può non menzionare il leggendario Dizzy Gillespie per i trombettisti.Nel 1986, all'età di 21 anni, fu il primo musicista francese a firmare con la prestigiosa etichetta BLU NOTE, con la quale ha registrato sei album. Michel continuò a viaggiare per il mondo, con un'energia sempre nuova, cambiando spesso i gruppi che lo accompagnavano e le atmosfere musicali.Suonò e registrò con Lee Konitz. Dalla combinazione Konitz al sax alto e Michel al piano citiamo l’album “Toot Sweet”, considerato dalla critica europea una delle espressioni musicali jazz più illuminate degli anni ’80.Tra il 1986 e il 1994, registrò 7 album per la BLU NOTE compresi "Power of three" (con Wayne Shorter e Jim Hall), ed un album ancora più famoso ed acclamato fatto di canzoni originali, "Michel plays Petrucciani" (BLU NOTE). Nel 1994 a Michel venne assegnata la Legione d’Onore a Parigi.Nel 1997 Michel fece un tour girando Germania, Italia e Francia, suonando in tutti i festival. Un'altra tournée con un sestetto subito dopo, con la partecipazione di Anthony Jackson al basso, Steve Gadd alla batteria, Bob Brookmeyer e Flavio Boltro alla tromba e Stefano Battista al sax contralto e sax soprano. Questo gruppo fu per Michel una delle maggiori ricompense agli sforzi fino ad allora fatti, eseguirono in quell’anno la registrazione di “Both Worlds” per la Dreyfus records, uscite poi nel 1998. Il CD è interamente fatto da canzoni composte da Petrucciani, ottimamente arrangiate da Bob Brookmeyer.Il 6 gennaio 1999, Michel Petrucciani muore a Manhattan all'età di 36, causa un'infezione polmonare. All’epoca era sotto contratto con la DREYFUS, la quale stava realizzando un video di Michel “1997 solo tour of Europe”. Registrato live in Francoforte, Germania, il 27 febbraio, il concerto comprendeva molte composizioni originali come la versione integrale di “Trilogy In Blois (Morning Sun, Noon Sun and Night Sun In Blois)" ed la lirica di "Chloé meets Gershwin". Michel fece anche l'omaggio assolo alla coppia di suoi eroi con un'interpretazione completa estesa di "Caravan" di Duke Ellington e un medley di “She did it again” e "Take the a Train” di Billy Strayhorn.Petrucciani era un eroe nazionale in Francia, e le sue incisioni sono da considerare come dei libri di successo in tutta Europa. Il Presidente francese Jacques Chirac era fra i suoi fans più accesi, e ne lodava la sua capacità "di rinnovare il jazz, dando se stesso nella sua arte con la passione, con coraggio, unito al suo genio musicale." Lo ha definito " l'esempio per tutti ".Giovani pianisti nei quali è innata la virtù, la scelta del tono e dei colori, come pure il loro stile e l’espressività, sono abbastanza rari per il loro singolare modo di essere… accentuato. Per ben quindici anni, Michel Petrucciani è stato uno di loro. L'eroe, una persona di successo nello stile Americano, questo pianista sembra avere affermato una logica, il suo amore matto per la musica.

sabato, aprile 22, 2006

David Bowie


David Robert Jones nasce a Brixton l'8 gennaio 1947 (cambiò il suo cognome in quello d’arte di Bowie per non creare ambiguità con il quasi omonimo leader dei The Monkees Davy Jones) e appartiene alla generazione di giovani cresciuti nell’ambiente della Swingin’ London. La sua carriera musicale, iniziata verso la fine degli anni Sessanta, copre un arco di circa quarant’anni e ha abbracciato diversi generi artistici e commerciali, dal citato glam rock alla disco, al pop elettronico, tutti con grande successo.Come attore, dopo alcune piccole apparizioni, ha avuto buon successo nel 1976 con L'uomo che cadde sulla Terra, di Nicholas Roeg. Tra le sue migliori interpretazioni: Furyo (Merry Christmas Mr. Lawrence) 1983 di Nagisa Oshima, Absolute Beginners 1986 di Julien Temple e Basquiat di Julian Schnabel.Trovò un primo successo nel 1969 con una strana canzone lattemiele che racconta di un astronauta perso nello spazio: Space Oddity, di stampo romantico futurista. Subito dopo però si dedicò ad un rock più sgherro, ambiguo ed originale mescolando fantascienza, Dylan e Velvet Underground, decadentismo alla Oscar Wilde, rock duro come quello dell' amico Iggy Pop con gli Stooges. Lo chiamarono glam, fu uno dei grandi miti anni Settanta. Bowie ne diventò il sommo sacerdote con la sua stranita aria dichiaratamente bisex e con gli onirici abiti da scena.Dopo un'esperienza all'insegna di un rock duro e superamplificato con solo qualche sprazzo del Bowie che sarà (The Man who sold the World, forse il più duro tra i suoi album), la vera esplosione avvenne con Hunky Dory e The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars che contengono una enorme fetta dei suoi classici, ripetuti in qualunque concerto anche a trent'anni di distanza, da Changes a Starman, da Life on Mars? a Moonage Daydream, da Ziggy Stardust a Andy Warhol.Fra il 1972 e il 1973, nei panni di Ziggy Stardust portò in giro uno show dalle mille meraviglie dove il vero Bowie e la figura teatrale si confondevano tanto da rendere sottilissimo il confine tra realtà e finzione teatrale.Dal "Duca Bianco" alla triade di BerlinoAl ritmo di un disco all'anno, Bowie per parecchi anni nel bene e nel male non si è mai limitato a creare un "marchio Bowie" uguale a se stesso e rassicurante: dalle nostalgie beat con Pin Ups, agli incubi orwelliani di Diamond Dogs, al R&B bianco con Station To Station e Young Americans, all'electro pop intellettuale che, secondo molti critici, costituirà la fase più creativa della sua carriera fra il 1977 e il 1979, con la cosiddetta triade berlinese di Low, Heroes e Lodger, album in realtà (salvo il secondo) realizzati solo parzialmente a Berlino, ma comunque fortemente influenzati dalle contaminazioni tra rock ed elettronica di cui erano maestri i Kraftwerk e i Neu, gruppi entrambi tedeschi. Decisivo l'incontro con Brian Eno, altro reduce dal glam-rock dei primi '70 con i Roxy Music del dandy Bryan Ferry. Altrettanto decisivo un successo ormai consolidato che permette all'artista di sperimentare soluzioni nuove senza inseguire il riscontro commerciale. Nel frattempo il personaggio non è più il l'androgino Ziggy Stardust ma un thin white duke (sottile duca bianco) dalle inquietanti suggestioni androgine sotto uno stile musicale esteriormente sempre più macho.Dal riflusso degli anni Ottanta agli enigmatici NovantaCon gli Ottanta Bowie investe molto di più nella carriera di attore cinematografico e teatrale e incrementa, sia come numero che come grandiosità, i suoi tour, mentre la produzione discografica si basa per tutto il decennio un raffinato quanto generico
pop, con album che ruotano intorno alla title-track strutturata come hit da massiccia trasmissione radiofonica.Tornerà la sperimentazione nei quattro diversissimi album degli anni Novanta, col risultato di spicco di Outside (e la creazione di un nuovo, sofisticato alter ego nella figura del detective Nathan Adler) a cui tornerà a collaborare Brian Eno, e un affascinante quanto artisticamente discutibile giocare con le tendenze musicali di fine secolo nella jungle di Earthling, e altri risultati meno brillanti.

Maria Callas


Maria Callas (New York, 2 dicembre 1923 - Parigi, 16 settembre 1977) è il nome d'arte di Cecilia Sophia Anna Maria Kalogeropoulos, famoso soprano, da alcuni definita la più grande cantante lirica del '900. Contribuì con le sue interpretazioni alla riscoperta del repertorio italiano della prima metà dell'Ottocento, in particolare Vincenzo Bellini e Gaetano Donizetti.
BiografiaEssendo i suoi genitori emigrati negli Stati Uniti d'America nell'agosto del 1923, il padre nell'anno 1929 cambia il proprio cognome in Callas allorquando apre una farmacia nel quartiere greco di Manhattan. Tutto fila liscio; la famiglia vive in una certa agiatezza e Maria prende nel frattempo lezioni di pianoforte; nel 1937 i genitori si separano e la madre, ritornata in Grecia, riassume il cognome Kalogeropoulos.
L'anno successivo Maria, che voleva studiare e perfezionarsi in pianoforte, viene ammessa al Conservatorio di Atene e studia con Maria Trivella. L'11 aprile 1938 per la prima volta insieme ad altri studenti dà il suo primo concerto in pubblico e sebbene non sia stato un grande successo, si merita l'approvazione di molti estimatori.
Non sfugge ai suoi insegnanti il dono di una bella voce e viene incoraggiata ad esercitarsi anche nel canto, cosa che non dispiace a Maria Kalogeropoulos; infatti nel mese di aprile dell'anno successivo Maria interpreta Santuzza in Cavalleria Rusticana vincendo il premio che il Conservatorio mette in palio. Comincia così quella luminosa carriera che le farà guadagnare l'appellativo di Divina.È un susseguirsi di interpretazioni: il Mercante di Venezia al Teatro Reale di Atene, è Beatrice in Boccaccio al Palais Cinema; nei quattro anni successivi (dal 1942 fino al settembre 1945) canterà Cavalleria Rusticana, Fidelio, Der Bettelstudent e Tosca.Nel 1945 tiene l'ultimo concerto ad Atene e poi ritorna a New York ove riassume il cognome di Callas; la sua decisione è certamente influenzata dal fatto che la Grecia era coinvolta nel secondo conflitto mondiale ed è anche dettata dalla voglia di poter ritrovare e rivedere il padre. A New York, nel mese di dicembre, ottiene una audizione al famoso Metropolitan Opera Theater, ma con scarso risultato.
Continua a studiare canto per perfezionare la sua tecnica ed infine, conosciuto l'agente teatrale Eddie Bagarozy, viene ingaggiata per cantare Turandot a Chicago nel gennaio del 1947, con una nuova compagnia che, però, fallisce miseramente.
Conosce un famoso basso italiano, Nicola Rossi Lemeni, attraverso il quale viene in contatto con Giovanni Zanatello, direttore artistico dell'Arena di Verona. Zanatello, incantato dalla sua voce, la ingaggia per La Gioconda. Il 27 giugno 1947 la Callas arriva a Napoli e da li si reca a Verona per provare la parte. Qui incontra Giovanni Meneghini grande estimatore dell'opera lirica e facoltoso industriale. Il suo debutto all'Arena di Verona, nel complesso, fu un successo, sebbene la linea di canto della Callas non desti particolari entusuiasmi tanto che non ottiene gli sperati ingaggi.
L'anno successivo è a Firenze dove canta nella Norma di Vincenzo Bellini, ma la svolta della sua carriera avviene in modo del tutto fortuito e casuale: il 19 gennaio 1949 infatti viene chiamata all'ultimo momento a sostituire il soprano Margherita Carosio, indisposta, nel ruolo di Elvira dei Puritani alla Fenice. Fu un successo memorabile. Sebbene più anziano di lei, accetta di sposare Meneghini che diventa anche il suo agente.
Comincia così la sua folgorante carriera: inaugura la stagione lirica alla Scala di Milano nel dicembre del 1951 ove trionfa in un tripudio di applausi e di richieste di "bis" con I Vespri Siciliani e continuerà a mietere grandi successi interpretando le più grandi figure femminili della lirica: da Turandot a Norma, da Lucia a Gioconda, da Tosca a Butterfly.Si apre anche la strada della discografia: la EMI le offre un contratto profumatamente remunerativo e la Callas inizia ad
incidere una serie di opere di successo, tra cui Lucia di Lammermoor di Donizetti, Norma, Tosca, Manon Lescaut, La sonnambula e La gioconda. Nel frattempo si esibisce in tournée in prestigiosi teatri quali l'Opera di Chicago, il Metropolitan di New York, il Covent Garden di Londra.
Siamo ormai al 1954 e Maria Callas, che come soprano, aveva una discreta corporatura, inizia una drastica dieta che le fa perdere in poco tempo circa 30 chilogrammi. Mentre la sua figura cambia drasticamente, la sua voce, ormai matura, raggunge i livelli di perfezione che ancora oggi sono inimitabili; canta in Norma, Traviata e Lucia di Lammermoor a Chicago; a dicembre è a Verona ad inaugurare la stagione lirica con La Vestale, va a New York ove canta Norma, Tosca e di nuovo Lucia di Lammermoor.
Nel 1957, ad un ricevimento a Venezia, incontra per la prima volta Aristotele Onassis e quest'anno segna anche l'inizio di una fase della sua vita dove tiene comportamenti censurabili: a Roma, ad una serata di gala alla presenza di alte autorità quali il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, dopo il primo atto di Norma, con la scusa di un malore, la Callas abbandona tutti; nel maggio dell'anno successivo entra in conflitto con il Soprintendente della Scala di Milano, Antonio Ghiringhelli; nel novembre, per prese di posizioni giudicate inaccettabili da Rudolf Bing, direttore del Metropolitan Opera, è soggetta alla rescissione del contratto e dimessa da quel teatro. Nell'anno 1959 viene invitata, insieme al marito, da Onassis sul suo yacht Christina per una crociera insieme agli Agnelli ed altre personalità del gotha internazionale: alla fine della crociera Aristotile e Maria sono ufficialmente amanti e lei si separa da Meneghini.
Inizia il suo declino: Onassis, geloso, la tiene lontano dalle scene e solo nel 1964, dietro forti insistenze di Franco Zeffirelli canta in Tosca al Covent Garden di Londra e successivamente Norma a Parigi, ma la voce risente sia degli anni che della inattività sebbene, nel complesso, il tutto sia stato un successo. Nel 1965 decide di ritornare sulle scene e canta Tosca a New York: il ritorno è trionfale; la Callas sembra aver ritrovato lo splendore degli anni precedenti e ciò la induce a cantare cinque recite di Norma a Parigi, ma sia la voce che il fisico non reggono, tanto che il 29 maggio termina la scena dell'atto II del tutto sfinita e l'ultima scena viene annullata.
Si era impegnata con il Covent Garden di Londra per quattro rappresentazioni di Tosca, ma ne tiene solo una: quella di gala; è costretta a rinunciare a tutte le altre dietro ordine del suo medico personale per problemi fisici. Questa è l'ultima volta che la Callas canta in una opera. La sua vità privata non è migliore, in questo periodo, di quella artistica: Onassis non ne vuol saper di sposarla, anzi incontra e sposa, nel 1968, Jacqueline Kennedy, la vedova del presidente degli Stati Uniti d'America assassinato a Dallas.Il mondo per la Callas crolla: si susseguono periodi di depressione alternati a momenti di euforia, quando ha occasione di tornare variamente alla ribalta: nel 1970 è la protagonista del film Medea di Pier Paolo Pasolini e nel 1973 inizia un tour
mondiale insieme a Giuseppe Di Stefano, che si conclude nel 1974 a Sapporo in Giappone. Sarà la sua ultima esibizione in pubblico. Nel complesso tuttavia il tour si rivela un fallimento: Maria Callas non è che l'ombra di quella cantante che faceva delirare le folle; ha perso il senso della scena, non caratterizza più i personaggi, la sua voce è un pallido ricordo di quella, meravigliosa, che ti incantava con il timbro, l'estensione vocale, il colore e la vibrante vitalità che sapeva infonderle.
Maria vive sola a Parigi, quasi dimenticata e come una reclusa; nel marzo del 1975 Onassis muore dopo essere stato operato alla cistifellea; due anni dopo la Callas muore nel suo appartamento di Parigi in circostanze ancora mai chiarite. È il 16 settembre 1977. Frettolosamente cremata, rispettandone le volontà le sue ceneri vengono disperse nel Mar Egeo.

venerdì, aprile 21, 2006

Spriss a Go Go


La Band si forma quasi per gioco alla fine del 1997 e già da subito le esibizioni live si rivelano molto coinvolgenti, grazie anche all’esperienza acquisita in passato, collaborando con musicisti di fama internazionale, suonando in locali di rilievo e partecipando a manifestazioni importanti.
I concerti seguono un’anima Blues, poiché vengono suonati brani classici e travolgenti quali “Every Day I Have The Blues” e “The Sky Is Crying” (quest’ultimo interpretato alla voce, chitarra e basso da Woofer). Le due canzoni citate sono presenti nel primo CD uscito nel febbraio 2000.
L’anima Blues è aperta poi a tutti quei generi musicali che ne derivano, come il Rock dei Rolling Stones e Jimi Hendrix (nel CD sono presenti le canzoni “Fire” e “Purple Haze”) dove la Band si trova spesso coinvolta in improvvisazioni a volte psichedeliche, ricreando un po’ la magia di quel tempo.
Nelle loro esibizioni inoltre trovano spazio le sonorità Funky di James Brown, che si alternano al sound R’n’Blues dei Blues Brothers e ai non meno scatenati Rock’n’Roll di Chuck Barry, Jerry Lee Lewis e tanti altri.
Questi brani, suonati con il collaudato “metodo SPRISS” trasformano la serata in un vero e proprio crescendo musicale, tale da coinvolgere il pubblico, portandolo a far parte della stessa Band. Si può dire che non sono rare le occasioni in cui il pubblico canta e balla sul palco e, se lo permettete anche sui tavoli!
Gli Spriss si sono esibiti nell’autunno del 2001 in occasione di una festa privata, all’HARRYS DOLCI “HOTEL CIPRIANI” di Venezia (uno dei pochi concerti dove il pubblico non è salito sui tavoli…..).
Oltre ad esibirsi con la formazione ufficiale, il gruppo ha collaborato in varie occasioni con due grandi della batteria: Giuliano Bianco e Piero “Totò” De Conciliis. Si creano inoltre delle serate alternative quando la Band si presenta sul palco con personaggi che non hanno certo bisogno di presentazioni:
Mirta Magnoler, dotata di una vibrante e possente voce Blues nera.
Bitols, con un unico e sempre imprevedibile modo di stravolgere i brani e di fare lo Showman.
Francesco Gabelli, con le sue mitiche interpretazioni di John Fogerty, nonché voce scatenata del Rock’n’Roll padovano.
Massimo Busetto, con il quale, nell ottobre del 2001, è stato inciso assieme all’inconfondibile chitarra di Cristiano Schiabello un CD live quasi tutto dedicato al Rock di Lou Reed e Rolling Stones, con Ballate di Neil Young e Bob Dylan. Il tutto, raccontato dalla sua voce, fa immaginare il fascino e l’atmosfera di quell’epoca.

Gary Moore


Quando ci si trova a parlare di un disco che raccoglie i successi di un artista, il dubbio che tale operazione abbia un'anima squisitamente commerciale sorge quasi spontaneamente. Se poi l'artista in questione è un furbo chitarrista che negli ultimi dieci anni ha cavalcato un genere sì inflazionato ma pur sempre redditizio, allora le perplessità possono essere legittime. Gary Moore è un chitarrista dalle indubbie qualità tecniche e dalle prestazioni quanto mai eclettiche. Nato come chitarrista hard rock, lo troviamo nella line up di gruppi storici come i Colosseum II e i Thin Lizzy, o addirittura al fianco dell'Andrew Lloyd Webber di "Variations". Fino a mescolarsi nella marmaglia di guitar-heroes degli anni '80. All'inizio degli anni '90 arriva la svolta artistica, e così il nostro si scopre innamorato perso del blues, quello ricoperto dal fango del Mississipi, e dalle pentatoniche di B.B. King, Albert King, Muddy Waters. Questo amore partorisce un bellissimo figlio, "Still Got The Blues", datato 1990, probabilmente il disco più ispirato del chitarrista irlandese. Moore si accorge di aver trovato un filone d'oro praticamente inesauribile: la tradizione blues. Per tutti gli anni '90 si avvicendano così dischi su dischi, poco importa che siano più le "cover" dei pezzi originali, tanto si sa che il blues, come tutti i generi basati sull'improvvisazione, è un genere che premia più l'interprete che il compositore.
"The Best Of The Blues" arriva come coronamento di una carriera tutt'altro che esaurita (potrebbero starci ancora almeno un'altra decina di dischi-tributo). Questo doppio album raccoglie le grandi "hits" di Gary Moore, brani originali ed interpretazioni riuscite. Impossibile non osservare subito il fatto che nella compilation sia stato inserito nella sua totalità il già citato "Still Got The Blues". Il disco infatti esordisce con l'inconfondibile riff di "Walking By Myself", subito seguito dalla energica "Oh Pretty Woman". Dopo i primi fuochi d'artificio, arriviamo alla parentesi veramente "soft" del disco, "Still Got The Blues", un blues in minore in cui la Gibson di Gary Moore assume una sonorità flautata "tirabaci". Rare concessioni ai "lentoni" da ballo; quasi subito dopo troviamo"Story Of The Blues" (nella versione utilizzata per il videoclip), ma manca all'appello la dolcissima "Nothing's The Same", sempre appartenente al periodo di "Afterhours". Dello stesso disco troviamo altre cavalcate blues come "Since I Met You Baby" e "Jumpin' At Shadows".
Dai brani tratti dai primi due dischi emerge chiaramente l'anima "hard blues" di Gary Moore, e il suo approccio del tutto nuovo alla musica del diavolo. Negli assolo di Gary Moore viene privilegiata la potenza del suono della ormai inseparabile Gibson Les Paul, e un fraseggio in cui le note scorrono veloci come una scarica elettrica; niente a che vedere con il blues "leccato" di Eric Clapton, ma nemmeno con la pulizia e la geniale inventiva jazz di Robben Ford, che tanto ha svecchiato il vocabolario blues. Gary Moore è un bluesman granitico, a volte più vicino a Van Halen che a B.B. King, eppure la sua proposta è onesta e a volte anche originale. Lontani sono i tempi di "Parisienne Walkways", cantata dal suo vecchio compagno nei Thin Lizzy, Phil Lynott, e riproposta anche in questa raccolta.
Il secondo disco è quasi interamente dedicato al repertorio live, al fianco dei soliti mostri sacri del blues come Albert Collins, Albert King, B.B. King, riproponendo classici come "Stormy Monday" o "Caldonia", brano storico del panciuto chitarrista.
"The Best Of The Blues" può essere un utile strumento per chi vuole fare il punto della situazione su un artista che, comunque, a suo modo ha arricchito i modi di interpretare il blues. Il disco rimane ottimo anche per quelli a cui non gliene frega niente del blues, ma vogliono un'energica compilation da viaggio per l'autoradio. Tanto si sa che ascoltare e soprattutto suonare blues fa fico, lo ha capito anche Gary Moore.

giovedì, aprile 13, 2006

Mike Stern


Mike Stern
Nasce a gennaio 1953. Inizia a suonare la chitarra all’età di 12 anni emulando i suoi idoli come B.B. King, Eric Clapton e Jimi Hendrix. "La chitarra mi ha sempre entusiasmato, però non l’ho preso seriamente in considerazione finchè non sono entrato al Berklee College of Music nel 1971." Mike si studia registrazioni classiche di Miles Davis, John Coltrane, Wes Montgomery, Jim Hall, McCoy Tyner e Bill Evans, studia con i chitarristi Mick Goodrick e Pat Metheny così il suo interesse cambia dal rock e blues al jazz. Metheny lo raccomanda e lo introduce nella serata con i Blood Sweat & Tears nel 1976, rimane con il gruppo per due anni, appare nel CD More Than Ever e Band New Day di BS&T. Questa serata diviene significativa nella vita di Mike perché sarà presentato ai due importanti musicisti: il percussionista Don Alias e il bassista Jaco Pastorius. Seguendo il periodo di lavoro con BS&T, Stern ritorna a Boston dove privatamente si impegna a studiare con il guru locale di jazz Charlie Banacos. Nel 1979 Mike si unisce con Cobham’s Powerhouse Fusion Band rimpiazzando John Scofield. Due anni dopo riceve la telefonata da Miles Davis, il 27 giugnio 1981 fa il primo debutto con il gruppo di Miles nel locale notturno Kix a Boston, la rappresentazione poi viene documentata dalla CBS e esce come We Want Miles. Mike rimane con Miles per tutto il 1983, appare nel CD Man With The Horn e nel CD Star People. Dal 1983 al 1984 fa tournée con il gruppo World of Mouth di Jaco Pastorius. Nel 1985 appare di nouvo nel gruppo di Miles per fare la seconda tournée che durerà quasi un’anno. Nell’estate 1986 Stern va in giro con David Sanborn, successivamente si unisce con gli Steps Ahead insieme al vibrafonista Mike Mainieri, il sassofonista Michael Brecker, il bassista Darryl Jones e il batterista Steve Smith. Sul suo debutto del 1986 con l’Atlantic Records, Upside Downside appaiono collegi celebri come Sanborn, Pastorius, il sassofonista Bob Berg, i bassisti Mark Egan e Jeff Andrews, il tastierista Mitch Forman e i batteristi Dave Weckl e Steve Jordan. Dal 1988 per 1988 Mike fa parte del potente quintetto di Michael Brecker e appare nel Don’t Try This At Home. Il secondo album Atlantic del 1988 Time in Place conferma il continuo debutto che segue con Jigsaw del 1989 e Odds Or Evens del 1991. Intorno a questo periodo Stern insieme al sassofonista Berg fonda il gruppo da tournée con batterista Dennis Chambers e bassista Lincoln Goines. Rimangono uniti dal 1989 al 1992, poi Stern entra nel gruppo riunito Brecker Brothers Band, appare nel 1992 Return of the Brecker Brothers. Standards ( And Other Songs) acclamato al Atlantic Jazz nel 1993 che nomina Mike "Best Jazz Guitarist of the Year" dai lettori e dai critici della rivista Guitar Player. Continua vigorosamente: nel 1994 con Is What It Is e nel 1996 Between The Lines per le quali riceve nomine per il Grammy. Nel 1997 Stern registra Give And Take con il bassista John Patitucci, il batterista Jack DeJohnette, il percussionista Don Alias ed invitati speciali come Michael Brecker e David Sanborn. La loro esecuzione di Oleo d Sonny Rollins, Giant Steps di John Coltrane, I Love You di Cole Porter e Who Knows di Jimi Hendrix aiuta Mike a guadagniare il premio "Orville W. Gibson Award" come migliore chitarrista jazz dell’ anno. La nona uscita di Stern intitolata Play per Atlantic Jazz è la sesta serie delle session con i suoi collegi Bill Frisell e John Scofield. Adesso con Voices, Mike si crea quella particolare nicchia, lanciando sempre canzoni che lo indicano come uno dei piu bravi chitarristi della sua generazione.

domenica, aprile 09, 2006

Bruno Cesselli


Dopo aver studiato pianoforte, composizione e direzione d'orchestra, si interessa al jazz e all'improvvisazione nel 1980, quando partecipa ai seminari estivi di Siena, dove segue i corsi di Franco D'Andrea, Enrico Pieranunzi e Bruno Biriaco.Ha suonato con Art Farmer, Lee Konitz, Mark Egan, Danny Gottlieb, Rachel Gould, Sal Nistico, Maccimo Urbani, Larry Nocella, Kenny Wheeler, Jean-Loup Longnon, Toon Roos, Eliot Zigrnund, Cameron Brown, Bob Mover, Lew Soloff, Nicola Stilo, Barbara Casini, Chris Hunter, Dick Oatts, Larry Ridley e molti altri.Ha partecipato a molti festival italiani ed europei, come Umbria Jazz(1985 e 1987), Ginevra, Basilea, Francoforte, Parigi (piano solo-1991), San Sebastian (Spagna), Vienne (Francia), Berlino...Svolge anche attività di session-man, e tra gli altri ha registrato con F. Olivieri, M. Caldura (Sings the Blues - Dischi della Quercia 1983); L. Malaguti (Orsa Minore - Fonit Cetra 1984 e Tip of the Hat - Splasch 1986); G. Valli, M. Tamburini, R.
Fioravanti, G. Zanier (Paludi - Splasch 1996); A. Tavolazzi e F. Sferra (Kars - Artis-Cramps 1989): A. Borsari, F. Petreni e G. Bianchetti (Alfonsina Y El Mar - SoleLuna-Verve Polygram 1999): K. Wheeler, G. Trovesi, P. Della Porta, Z. Kaucic (Emotional Playground- Iktius 1998); A. Tibaldi, P. Borri, A. Tavolazzi (Refuso- Silence 1998).Ha scritto musiche per i balletti "Come abbiamo potuto dimenticare il Paradiso" (1990) e "Strings" (1991) per la coreografa canadese T.Corey, oltre ad alcuni commenti sonori per documentari naturalistici. Dal 1990 compone musiche da eseguire dal vivo a commento di film muti, come Berlin - Eine Symphonie Der Grossestadt di W. Ruttmann, col quale è stato invitato fuori concorso a "Trento Cinema '90"; Le Coeur Fidèlé di J. Epstein, col quale è stato invitato a Parigi dalla Cinemateque Française nel 1991. Dal 1994 al 1998 (produzione Cinemazero), ha composto e diretto, per l'ensemble Zerorchestra specializzato nell'esecuzione "live" di colonne sonore: The Cameraman(1995) di Keaton, Beau Geste (1996) di Brennon (eseguito anche al Teatro Comunale di Ferrara nel 1996), Big Business e Liberty (1997) con S. Laurel e O. Hardy, The Rink e Behind the Screen(1998) di Chaplin, tutti pi volte eseguiti (Torino, Milano, Verona, Udine...). Nel 1998 Cinemazero e La Cineteca del Friuli hanno pubblicato in videocassetta "Tiger's Coat" (con Tina Modotti) con il commento sonoro da lui composto ed eseguito. La sua biografia artistica è stata pubblicata nell'Enciclopedia del Jazz, edita da Curci (Milano-1992)Attualmente insegna al conservatorio di musica.

Striuli Michele


Cominciò come autodidatta all'età di 15 anni, strimpellando pezzi di Jimi hendrix, Santana, ACDC ecc.
A 20 anni circa formò il primo gruppo (I senza nome), con vari amici della cittadina (Caorle), dove provarono un paio d'anni in una chiesa sconsacrata, e finalmente arrivò il primo concerto dal vivo, svoltosi nella "chiesa", fù un successo enorme, suonarono vari pezzi:
Deep Purple, Led Zeppelin, Beatles, ecc.
Poco dopo però si sciolsero per vari motivi lavorativi dei vari componenti.
A questo punto non trovando altri componenti per formare un nuovo gruppo per dare sfogo alla propria creatività, decise di andare a scuola seriamente per non rimanere autodidatta a vita.
Contattando amici vicini e lontani ebbe un indirizzo non da poco, da prima con un chitarrista JAZZ di Udine "Marco Zuccolo"dove mosse i primi passi sull'improvvisazione, la lettura, e la conoscienza dello strumento, per un'anno circa poi conobbe un certo Denis Biason chitarrista di alto livello nazionale, flamenco-latino-classico-fusion, dove in un'altro anno di duri studi, anche 5 ore al giorno arrivò ad un livello professionale.
Cominciò a fare concerti in locali, di Standard Jazz-Latino Americano, una mescola di generi dove si destreggiava con Jazzisti in duo, trio, quartetti, alternando i vari generi e mescolandoli.
Fece un gran concerto nel 1993 in trio "Basso/Andrea Schiavon - Chitarra Michele Striuli e Batteria/Paolo Buoso" in un locale di Caorle, per oltre 3 ore di musica Rock/Blues, dove interpretò dei pezzi d'annata rivisti nel suo stile latino blueseggiante, ed alcune sue creazioni tra cui "Preludium" suo personale cavallo di battaglia, per la prima volta in questo concerto.
Da allora studia e compone, fa qualche apparizione in qualche concerto e da vita alla sua creatività.
E.. tutt'ora "2006" suona, insegna e compone in "cantina".
Biografia scritta da "Roberto Riosa detto Battiston"