sabato, aprile 22, 2006

David Bowie


David Robert Jones nasce a Brixton l'8 gennaio 1947 (cambiò il suo cognome in quello d’arte di Bowie per non creare ambiguità con il quasi omonimo leader dei The Monkees Davy Jones) e appartiene alla generazione di giovani cresciuti nell’ambiente della Swingin’ London. La sua carriera musicale, iniziata verso la fine degli anni Sessanta, copre un arco di circa quarant’anni e ha abbracciato diversi generi artistici e commerciali, dal citato glam rock alla disco, al pop elettronico, tutti con grande successo.Come attore, dopo alcune piccole apparizioni, ha avuto buon successo nel 1976 con L'uomo che cadde sulla Terra, di Nicholas Roeg. Tra le sue migliori interpretazioni: Furyo (Merry Christmas Mr. Lawrence) 1983 di Nagisa Oshima, Absolute Beginners 1986 di Julien Temple e Basquiat di Julian Schnabel.Trovò un primo successo nel 1969 con una strana canzone lattemiele che racconta di un astronauta perso nello spazio: Space Oddity, di stampo romantico futurista. Subito dopo però si dedicò ad un rock più sgherro, ambiguo ed originale mescolando fantascienza, Dylan e Velvet Underground, decadentismo alla Oscar Wilde, rock duro come quello dell' amico Iggy Pop con gli Stooges. Lo chiamarono glam, fu uno dei grandi miti anni Settanta. Bowie ne diventò il sommo sacerdote con la sua stranita aria dichiaratamente bisex e con gli onirici abiti da scena.Dopo un'esperienza all'insegna di un rock duro e superamplificato con solo qualche sprazzo del Bowie che sarà (The Man who sold the World, forse il più duro tra i suoi album), la vera esplosione avvenne con Hunky Dory e The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars che contengono una enorme fetta dei suoi classici, ripetuti in qualunque concerto anche a trent'anni di distanza, da Changes a Starman, da Life on Mars? a Moonage Daydream, da Ziggy Stardust a Andy Warhol.Fra il 1972 e il 1973, nei panni di Ziggy Stardust portò in giro uno show dalle mille meraviglie dove il vero Bowie e la figura teatrale si confondevano tanto da rendere sottilissimo il confine tra realtà e finzione teatrale.Dal "Duca Bianco" alla triade di BerlinoAl ritmo di un disco all'anno, Bowie per parecchi anni nel bene e nel male non si è mai limitato a creare un "marchio Bowie" uguale a se stesso e rassicurante: dalle nostalgie beat con Pin Ups, agli incubi orwelliani di Diamond Dogs, al R&B bianco con Station To Station e Young Americans, all'electro pop intellettuale che, secondo molti critici, costituirà la fase più creativa della sua carriera fra il 1977 e il 1979, con la cosiddetta triade berlinese di Low, Heroes e Lodger, album in realtà (salvo il secondo) realizzati solo parzialmente a Berlino, ma comunque fortemente influenzati dalle contaminazioni tra rock ed elettronica di cui erano maestri i Kraftwerk e i Neu, gruppi entrambi tedeschi. Decisivo l'incontro con Brian Eno, altro reduce dal glam-rock dei primi '70 con i Roxy Music del dandy Bryan Ferry. Altrettanto decisivo un successo ormai consolidato che permette all'artista di sperimentare soluzioni nuove senza inseguire il riscontro commerciale. Nel frattempo il personaggio non è più il l'androgino Ziggy Stardust ma un thin white duke (sottile duca bianco) dalle inquietanti suggestioni androgine sotto uno stile musicale esteriormente sempre più macho.Dal riflusso degli anni Ottanta agli enigmatici NovantaCon gli Ottanta Bowie investe molto di più nella carriera di attore cinematografico e teatrale e incrementa, sia come numero che come grandiosità, i suoi tour, mentre la produzione discografica si basa per tutto il decennio un raffinato quanto generico
pop, con album che ruotano intorno alla title-track strutturata come hit da massiccia trasmissione radiofonica.Tornerà la sperimentazione nei quattro diversissimi album degli anni Novanta, col risultato di spicco di Outside (e la creazione di un nuovo, sofisticato alter ego nella figura del detective Nathan Adler) a cui tornerà a collaborare Brian Eno, e un affascinante quanto artisticamente discutibile giocare con le tendenze musicali di fine secolo nella jungle di Earthling, e altri risultati meno brillanti.

Maria Callas


Maria Callas (New York, 2 dicembre 1923 - Parigi, 16 settembre 1977) è il nome d'arte di Cecilia Sophia Anna Maria Kalogeropoulos, famoso soprano, da alcuni definita la più grande cantante lirica del '900. Contribuì con le sue interpretazioni alla riscoperta del repertorio italiano della prima metà dell'Ottocento, in particolare Vincenzo Bellini e Gaetano Donizetti.
BiografiaEssendo i suoi genitori emigrati negli Stati Uniti d'America nell'agosto del 1923, il padre nell'anno 1929 cambia il proprio cognome in Callas allorquando apre una farmacia nel quartiere greco di Manhattan. Tutto fila liscio; la famiglia vive in una certa agiatezza e Maria prende nel frattempo lezioni di pianoforte; nel 1937 i genitori si separano e la madre, ritornata in Grecia, riassume il cognome Kalogeropoulos.
L'anno successivo Maria, che voleva studiare e perfezionarsi in pianoforte, viene ammessa al Conservatorio di Atene e studia con Maria Trivella. L'11 aprile 1938 per la prima volta insieme ad altri studenti dà il suo primo concerto in pubblico e sebbene non sia stato un grande successo, si merita l'approvazione di molti estimatori.
Non sfugge ai suoi insegnanti il dono di una bella voce e viene incoraggiata ad esercitarsi anche nel canto, cosa che non dispiace a Maria Kalogeropoulos; infatti nel mese di aprile dell'anno successivo Maria interpreta Santuzza in Cavalleria Rusticana vincendo il premio che il Conservatorio mette in palio. Comincia così quella luminosa carriera che le farà guadagnare l'appellativo di Divina.È un susseguirsi di interpretazioni: il Mercante di Venezia al Teatro Reale di Atene, è Beatrice in Boccaccio al Palais Cinema; nei quattro anni successivi (dal 1942 fino al settembre 1945) canterà Cavalleria Rusticana, Fidelio, Der Bettelstudent e Tosca.Nel 1945 tiene l'ultimo concerto ad Atene e poi ritorna a New York ove riassume il cognome di Callas; la sua decisione è certamente influenzata dal fatto che la Grecia era coinvolta nel secondo conflitto mondiale ed è anche dettata dalla voglia di poter ritrovare e rivedere il padre. A New York, nel mese di dicembre, ottiene una audizione al famoso Metropolitan Opera Theater, ma con scarso risultato.
Continua a studiare canto per perfezionare la sua tecnica ed infine, conosciuto l'agente teatrale Eddie Bagarozy, viene ingaggiata per cantare Turandot a Chicago nel gennaio del 1947, con una nuova compagnia che, però, fallisce miseramente.
Conosce un famoso basso italiano, Nicola Rossi Lemeni, attraverso il quale viene in contatto con Giovanni Zanatello, direttore artistico dell'Arena di Verona. Zanatello, incantato dalla sua voce, la ingaggia per La Gioconda. Il 27 giugno 1947 la Callas arriva a Napoli e da li si reca a Verona per provare la parte. Qui incontra Giovanni Meneghini grande estimatore dell'opera lirica e facoltoso industriale. Il suo debutto all'Arena di Verona, nel complesso, fu un successo, sebbene la linea di canto della Callas non desti particolari entusuiasmi tanto che non ottiene gli sperati ingaggi.
L'anno successivo è a Firenze dove canta nella Norma di Vincenzo Bellini, ma la svolta della sua carriera avviene in modo del tutto fortuito e casuale: il 19 gennaio 1949 infatti viene chiamata all'ultimo momento a sostituire il soprano Margherita Carosio, indisposta, nel ruolo di Elvira dei Puritani alla Fenice. Fu un successo memorabile. Sebbene più anziano di lei, accetta di sposare Meneghini che diventa anche il suo agente.
Comincia così la sua folgorante carriera: inaugura la stagione lirica alla Scala di Milano nel dicembre del 1951 ove trionfa in un tripudio di applausi e di richieste di "bis" con I Vespri Siciliani e continuerà a mietere grandi successi interpretando le più grandi figure femminili della lirica: da Turandot a Norma, da Lucia a Gioconda, da Tosca a Butterfly.Si apre anche la strada della discografia: la EMI le offre un contratto profumatamente remunerativo e la Callas inizia ad
incidere una serie di opere di successo, tra cui Lucia di Lammermoor di Donizetti, Norma, Tosca, Manon Lescaut, La sonnambula e La gioconda. Nel frattempo si esibisce in tournée in prestigiosi teatri quali l'Opera di Chicago, il Metropolitan di New York, il Covent Garden di Londra.
Siamo ormai al 1954 e Maria Callas, che come soprano, aveva una discreta corporatura, inizia una drastica dieta che le fa perdere in poco tempo circa 30 chilogrammi. Mentre la sua figura cambia drasticamente, la sua voce, ormai matura, raggunge i livelli di perfezione che ancora oggi sono inimitabili; canta in Norma, Traviata e Lucia di Lammermoor a Chicago; a dicembre è a Verona ad inaugurare la stagione lirica con La Vestale, va a New York ove canta Norma, Tosca e di nuovo Lucia di Lammermoor.
Nel 1957, ad un ricevimento a Venezia, incontra per la prima volta Aristotele Onassis e quest'anno segna anche l'inizio di una fase della sua vita dove tiene comportamenti censurabili: a Roma, ad una serata di gala alla presenza di alte autorità quali il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, dopo il primo atto di Norma, con la scusa di un malore, la Callas abbandona tutti; nel maggio dell'anno successivo entra in conflitto con il Soprintendente della Scala di Milano, Antonio Ghiringhelli; nel novembre, per prese di posizioni giudicate inaccettabili da Rudolf Bing, direttore del Metropolitan Opera, è soggetta alla rescissione del contratto e dimessa da quel teatro. Nell'anno 1959 viene invitata, insieme al marito, da Onassis sul suo yacht Christina per una crociera insieme agli Agnelli ed altre personalità del gotha internazionale: alla fine della crociera Aristotile e Maria sono ufficialmente amanti e lei si separa da Meneghini.
Inizia il suo declino: Onassis, geloso, la tiene lontano dalle scene e solo nel 1964, dietro forti insistenze di Franco Zeffirelli canta in Tosca al Covent Garden di Londra e successivamente Norma a Parigi, ma la voce risente sia degli anni che della inattività sebbene, nel complesso, il tutto sia stato un successo. Nel 1965 decide di ritornare sulle scene e canta Tosca a New York: il ritorno è trionfale; la Callas sembra aver ritrovato lo splendore degli anni precedenti e ciò la induce a cantare cinque recite di Norma a Parigi, ma sia la voce che il fisico non reggono, tanto che il 29 maggio termina la scena dell'atto II del tutto sfinita e l'ultima scena viene annullata.
Si era impegnata con il Covent Garden di Londra per quattro rappresentazioni di Tosca, ma ne tiene solo una: quella di gala; è costretta a rinunciare a tutte le altre dietro ordine del suo medico personale per problemi fisici. Questa è l'ultima volta che la Callas canta in una opera. La sua vità privata non è migliore, in questo periodo, di quella artistica: Onassis non ne vuol saper di sposarla, anzi incontra e sposa, nel 1968, Jacqueline Kennedy, la vedova del presidente degli Stati Uniti d'America assassinato a Dallas.Il mondo per la Callas crolla: si susseguono periodi di depressione alternati a momenti di euforia, quando ha occasione di tornare variamente alla ribalta: nel 1970 è la protagonista del film Medea di Pier Paolo Pasolini e nel 1973 inizia un tour
mondiale insieme a Giuseppe Di Stefano, che si conclude nel 1974 a Sapporo in Giappone. Sarà la sua ultima esibizione in pubblico. Nel complesso tuttavia il tour si rivela un fallimento: Maria Callas non è che l'ombra di quella cantante che faceva delirare le folle; ha perso il senso della scena, non caratterizza più i personaggi, la sua voce è un pallido ricordo di quella, meravigliosa, che ti incantava con il timbro, l'estensione vocale, il colore e la vibrante vitalità che sapeva infonderle.
Maria vive sola a Parigi, quasi dimenticata e come una reclusa; nel marzo del 1975 Onassis muore dopo essere stato operato alla cistifellea; due anni dopo la Callas muore nel suo appartamento di Parigi in circostanze ancora mai chiarite. È il 16 settembre 1977. Frettolosamente cremata, rispettandone le volontà le sue ceneri vengono disperse nel Mar Egeo.

venerdì, aprile 21, 2006

Spriss a Go Go


La Band si forma quasi per gioco alla fine del 1997 e già da subito le esibizioni live si rivelano molto coinvolgenti, grazie anche all’esperienza acquisita in passato, collaborando con musicisti di fama internazionale, suonando in locali di rilievo e partecipando a manifestazioni importanti.
I concerti seguono un’anima Blues, poiché vengono suonati brani classici e travolgenti quali “Every Day I Have The Blues” e “The Sky Is Crying” (quest’ultimo interpretato alla voce, chitarra e basso da Woofer). Le due canzoni citate sono presenti nel primo CD uscito nel febbraio 2000.
L’anima Blues è aperta poi a tutti quei generi musicali che ne derivano, come il Rock dei Rolling Stones e Jimi Hendrix (nel CD sono presenti le canzoni “Fire” e “Purple Haze”) dove la Band si trova spesso coinvolta in improvvisazioni a volte psichedeliche, ricreando un po’ la magia di quel tempo.
Nelle loro esibizioni inoltre trovano spazio le sonorità Funky di James Brown, che si alternano al sound R’n’Blues dei Blues Brothers e ai non meno scatenati Rock’n’Roll di Chuck Barry, Jerry Lee Lewis e tanti altri.
Questi brani, suonati con il collaudato “metodo SPRISS” trasformano la serata in un vero e proprio crescendo musicale, tale da coinvolgere il pubblico, portandolo a far parte della stessa Band. Si può dire che non sono rare le occasioni in cui il pubblico canta e balla sul palco e, se lo permettete anche sui tavoli!
Gli Spriss si sono esibiti nell’autunno del 2001 in occasione di una festa privata, all’HARRYS DOLCI “HOTEL CIPRIANI” di Venezia (uno dei pochi concerti dove il pubblico non è salito sui tavoli…..).
Oltre ad esibirsi con la formazione ufficiale, il gruppo ha collaborato in varie occasioni con due grandi della batteria: Giuliano Bianco e Piero “Totò” De Conciliis. Si creano inoltre delle serate alternative quando la Band si presenta sul palco con personaggi che non hanno certo bisogno di presentazioni:
Mirta Magnoler, dotata di una vibrante e possente voce Blues nera.
Bitols, con un unico e sempre imprevedibile modo di stravolgere i brani e di fare lo Showman.
Francesco Gabelli, con le sue mitiche interpretazioni di John Fogerty, nonché voce scatenata del Rock’n’Roll padovano.
Massimo Busetto, con il quale, nell ottobre del 2001, è stato inciso assieme all’inconfondibile chitarra di Cristiano Schiabello un CD live quasi tutto dedicato al Rock di Lou Reed e Rolling Stones, con Ballate di Neil Young e Bob Dylan. Il tutto, raccontato dalla sua voce, fa immaginare il fascino e l’atmosfera di quell’epoca.

Gary Moore


Quando ci si trova a parlare di un disco che raccoglie i successi di un artista, il dubbio che tale operazione abbia un'anima squisitamente commerciale sorge quasi spontaneamente. Se poi l'artista in questione è un furbo chitarrista che negli ultimi dieci anni ha cavalcato un genere sì inflazionato ma pur sempre redditizio, allora le perplessità possono essere legittime. Gary Moore è un chitarrista dalle indubbie qualità tecniche e dalle prestazioni quanto mai eclettiche. Nato come chitarrista hard rock, lo troviamo nella line up di gruppi storici come i Colosseum II e i Thin Lizzy, o addirittura al fianco dell'Andrew Lloyd Webber di "Variations". Fino a mescolarsi nella marmaglia di guitar-heroes degli anni '80. All'inizio degli anni '90 arriva la svolta artistica, e così il nostro si scopre innamorato perso del blues, quello ricoperto dal fango del Mississipi, e dalle pentatoniche di B.B. King, Albert King, Muddy Waters. Questo amore partorisce un bellissimo figlio, "Still Got The Blues", datato 1990, probabilmente il disco più ispirato del chitarrista irlandese. Moore si accorge di aver trovato un filone d'oro praticamente inesauribile: la tradizione blues. Per tutti gli anni '90 si avvicendano così dischi su dischi, poco importa che siano più le "cover" dei pezzi originali, tanto si sa che il blues, come tutti i generi basati sull'improvvisazione, è un genere che premia più l'interprete che il compositore.
"The Best Of The Blues" arriva come coronamento di una carriera tutt'altro che esaurita (potrebbero starci ancora almeno un'altra decina di dischi-tributo). Questo doppio album raccoglie le grandi "hits" di Gary Moore, brani originali ed interpretazioni riuscite. Impossibile non osservare subito il fatto che nella compilation sia stato inserito nella sua totalità il già citato "Still Got The Blues". Il disco infatti esordisce con l'inconfondibile riff di "Walking By Myself", subito seguito dalla energica "Oh Pretty Woman". Dopo i primi fuochi d'artificio, arriviamo alla parentesi veramente "soft" del disco, "Still Got The Blues", un blues in minore in cui la Gibson di Gary Moore assume una sonorità flautata "tirabaci". Rare concessioni ai "lentoni" da ballo; quasi subito dopo troviamo"Story Of The Blues" (nella versione utilizzata per il videoclip), ma manca all'appello la dolcissima "Nothing's The Same", sempre appartenente al periodo di "Afterhours". Dello stesso disco troviamo altre cavalcate blues come "Since I Met You Baby" e "Jumpin' At Shadows".
Dai brani tratti dai primi due dischi emerge chiaramente l'anima "hard blues" di Gary Moore, e il suo approccio del tutto nuovo alla musica del diavolo. Negli assolo di Gary Moore viene privilegiata la potenza del suono della ormai inseparabile Gibson Les Paul, e un fraseggio in cui le note scorrono veloci come una scarica elettrica; niente a che vedere con il blues "leccato" di Eric Clapton, ma nemmeno con la pulizia e la geniale inventiva jazz di Robben Ford, che tanto ha svecchiato il vocabolario blues. Gary Moore è un bluesman granitico, a volte più vicino a Van Halen che a B.B. King, eppure la sua proposta è onesta e a volte anche originale. Lontani sono i tempi di "Parisienne Walkways", cantata dal suo vecchio compagno nei Thin Lizzy, Phil Lynott, e riproposta anche in questa raccolta.
Il secondo disco è quasi interamente dedicato al repertorio live, al fianco dei soliti mostri sacri del blues come Albert Collins, Albert King, B.B. King, riproponendo classici come "Stormy Monday" o "Caldonia", brano storico del panciuto chitarrista.
"The Best Of The Blues" può essere un utile strumento per chi vuole fare il punto della situazione su un artista che, comunque, a suo modo ha arricchito i modi di interpretare il blues. Il disco rimane ottimo anche per quelli a cui non gliene frega niente del blues, ma vogliono un'energica compilation da viaggio per l'autoradio. Tanto si sa che ascoltare e soprattutto suonare blues fa fico, lo ha capito anche Gary Moore.

giovedì, aprile 13, 2006

Mike Stern


Mike Stern
Nasce a gennaio 1953. Inizia a suonare la chitarra all’età di 12 anni emulando i suoi idoli come B.B. King, Eric Clapton e Jimi Hendrix. "La chitarra mi ha sempre entusiasmato, però non l’ho preso seriamente in considerazione finchè non sono entrato al Berklee College of Music nel 1971." Mike si studia registrazioni classiche di Miles Davis, John Coltrane, Wes Montgomery, Jim Hall, McCoy Tyner e Bill Evans, studia con i chitarristi Mick Goodrick e Pat Metheny così il suo interesse cambia dal rock e blues al jazz. Metheny lo raccomanda e lo introduce nella serata con i Blood Sweat & Tears nel 1976, rimane con il gruppo per due anni, appare nel CD More Than Ever e Band New Day di BS&T. Questa serata diviene significativa nella vita di Mike perché sarà presentato ai due importanti musicisti: il percussionista Don Alias e il bassista Jaco Pastorius. Seguendo il periodo di lavoro con BS&T, Stern ritorna a Boston dove privatamente si impegna a studiare con il guru locale di jazz Charlie Banacos. Nel 1979 Mike si unisce con Cobham’s Powerhouse Fusion Band rimpiazzando John Scofield. Due anni dopo riceve la telefonata da Miles Davis, il 27 giugnio 1981 fa il primo debutto con il gruppo di Miles nel locale notturno Kix a Boston, la rappresentazione poi viene documentata dalla CBS e esce come We Want Miles. Mike rimane con Miles per tutto il 1983, appare nel CD Man With The Horn e nel CD Star People. Dal 1983 al 1984 fa tournée con il gruppo World of Mouth di Jaco Pastorius. Nel 1985 appare di nouvo nel gruppo di Miles per fare la seconda tournée che durerà quasi un’anno. Nell’estate 1986 Stern va in giro con David Sanborn, successivamente si unisce con gli Steps Ahead insieme al vibrafonista Mike Mainieri, il sassofonista Michael Brecker, il bassista Darryl Jones e il batterista Steve Smith. Sul suo debutto del 1986 con l’Atlantic Records, Upside Downside appaiono collegi celebri come Sanborn, Pastorius, il sassofonista Bob Berg, i bassisti Mark Egan e Jeff Andrews, il tastierista Mitch Forman e i batteristi Dave Weckl e Steve Jordan. Dal 1988 per 1988 Mike fa parte del potente quintetto di Michael Brecker e appare nel Don’t Try This At Home. Il secondo album Atlantic del 1988 Time in Place conferma il continuo debutto che segue con Jigsaw del 1989 e Odds Or Evens del 1991. Intorno a questo periodo Stern insieme al sassofonista Berg fonda il gruppo da tournée con batterista Dennis Chambers e bassista Lincoln Goines. Rimangono uniti dal 1989 al 1992, poi Stern entra nel gruppo riunito Brecker Brothers Band, appare nel 1992 Return of the Brecker Brothers. Standards ( And Other Songs) acclamato al Atlantic Jazz nel 1993 che nomina Mike "Best Jazz Guitarist of the Year" dai lettori e dai critici della rivista Guitar Player. Continua vigorosamente: nel 1994 con Is What It Is e nel 1996 Between The Lines per le quali riceve nomine per il Grammy. Nel 1997 Stern registra Give And Take con il bassista John Patitucci, il batterista Jack DeJohnette, il percussionista Don Alias ed invitati speciali come Michael Brecker e David Sanborn. La loro esecuzione di Oleo d Sonny Rollins, Giant Steps di John Coltrane, I Love You di Cole Porter e Who Knows di Jimi Hendrix aiuta Mike a guadagniare il premio "Orville W. Gibson Award" come migliore chitarrista jazz dell’ anno. La nona uscita di Stern intitolata Play per Atlantic Jazz è la sesta serie delle session con i suoi collegi Bill Frisell e John Scofield. Adesso con Voices, Mike si crea quella particolare nicchia, lanciando sempre canzoni che lo indicano come uno dei piu bravi chitarristi della sua generazione.

domenica, aprile 09, 2006

Bruno Cesselli


Dopo aver studiato pianoforte, composizione e direzione d'orchestra, si interessa al jazz e all'improvvisazione nel 1980, quando partecipa ai seminari estivi di Siena, dove segue i corsi di Franco D'Andrea, Enrico Pieranunzi e Bruno Biriaco.Ha suonato con Art Farmer, Lee Konitz, Mark Egan, Danny Gottlieb, Rachel Gould, Sal Nistico, Maccimo Urbani, Larry Nocella, Kenny Wheeler, Jean-Loup Longnon, Toon Roos, Eliot Zigrnund, Cameron Brown, Bob Mover, Lew Soloff, Nicola Stilo, Barbara Casini, Chris Hunter, Dick Oatts, Larry Ridley e molti altri.Ha partecipato a molti festival italiani ed europei, come Umbria Jazz(1985 e 1987), Ginevra, Basilea, Francoforte, Parigi (piano solo-1991), San Sebastian (Spagna), Vienne (Francia), Berlino...Svolge anche attività di session-man, e tra gli altri ha registrato con F. Olivieri, M. Caldura (Sings the Blues - Dischi della Quercia 1983); L. Malaguti (Orsa Minore - Fonit Cetra 1984 e Tip of the Hat - Splasch 1986); G. Valli, M. Tamburini, R.
Fioravanti, G. Zanier (Paludi - Splasch 1996); A. Tavolazzi e F. Sferra (Kars - Artis-Cramps 1989): A. Borsari, F. Petreni e G. Bianchetti (Alfonsina Y El Mar - SoleLuna-Verve Polygram 1999): K. Wheeler, G. Trovesi, P. Della Porta, Z. Kaucic (Emotional Playground- Iktius 1998); A. Tibaldi, P. Borri, A. Tavolazzi (Refuso- Silence 1998).Ha scritto musiche per i balletti "Come abbiamo potuto dimenticare il Paradiso" (1990) e "Strings" (1991) per la coreografa canadese T.Corey, oltre ad alcuni commenti sonori per documentari naturalistici. Dal 1990 compone musiche da eseguire dal vivo a commento di film muti, come Berlin - Eine Symphonie Der Grossestadt di W. Ruttmann, col quale è stato invitato fuori concorso a "Trento Cinema '90"; Le Coeur Fidèlé di J. Epstein, col quale è stato invitato a Parigi dalla Cinemateque Française nel 1991. Dal 1994 al 1998 (produzione Cinemazero), ha composto e diretto, per l'ensemble Zerorchestra specializzato nell'esecuzione "live" di colonne sonore: The Cameraman(1995) di Keaton, Beau Geste (1996) di Brennon (eseguito anche al Teatro Comunale di Ferrara nel 1996), Big Business e Liberty (1997) con S. Laurel e O. Hardy, The Rink e Behind the Screen(1998) di Chaplin, tutti pi volte eseguiti (Torino, Milano, Verona, Udine...). Nel 1998 Cinemazero e La Cineteca del Friuli hanno pubblicato in videocassetta "Tiger's Coat" (con Tina Modotti) con il commento sonoro da lui composto ed eseguito. La sua biografia artistica è stata pubblicata nell'Enciclopedia del Jazz, edita da Curci (Milano-1992)Attualmente insegna al conservatorio di musica.

Striuli Michele


Cominciò come autodidatta all'età di 15 anni, strimpellando pezzi di Jimi hendrix, Santana, ACDC ecc.
A 20 anni circa formò il primo gruppo (I senza nome), con vari amici della cittadina (Caorle), dove provarono un paio d'anni in una chiesa sconsacrata, e finalmente arrivò il primo concerto dal vivo, svoltosi nella "chiesa", fù un successo enorme, suonarono vari pezzi:
Deep Purple, Led Zeppelin, Beatles, ecc.
Poco dopo però si sciolsero per vari motivi lavorativi dei vari componenti.
A questo punto non trovando altri componenti per formare un nuovo gruppo per dare sfogo alla propria creatività, decise di andare a scuola seriamente per non rimanere autodidatta a vita.
Contattando amici vicini e lontani ebbe un indirizzo non da poco, da prima con un chitarrista JAZZ di Udine "Marco Zuccolo"dove mosse i primi passi sull'improvvisazione, la lettura, e la conoscienza dello strumento, per un'anno circa poi conobbe un certo Denis Biason chitarrista di alto livello nazionale, flamenco-latino-classico-fusion, dove in un'altro anno di duri studi, anche 5 ore al giorno arrivò ad un livello professionale.
Cominciò a fare concerti in locali, di Standard Jazz-Latino Americano, una mescola di generi dove si destreggiava con Jazzisti in duo, trio, quartetti, alternando i vari generi e mescolandoli.
Fece un gran concerto nel 1993 in trio "Basso/Andrea Schiavon - Chitarra Michele Striuli e Batteria/Paolo Buoso" in un locale di Caorle, per oltre 3 ore di musica Rock/Blues, dove interpretò dei pezzi d'annata rivisti nel suo stile latino blueseggiante, ed alcune sue creazioni tra cui "Preludium" suo personale cavallo di battaglia, per la prima volta in questo concerto.
Da allora studia e compone, fa qualche apparizione in qualche concerto e da vita alla sua creatività.
E.. tutt'ora "2006" suona, insegna e compone in "cantina".
Biografia scritta da "Roberto Riosa detto Battiston"

martedì, aprile 04, 2006

Pavlov’s Dog


Pavlov’s Dog
David Surkamp: voceDavid Hamilton: tastiereDoug Rayburn: Mellotron, flautoMike Safron: batteria Rick Stockton. bassoSiegfried Carver: violino, viola, vitarSteve Scorfina, chitarre

Nella seconda metà degli anni ’70 i Pavlov’s Dog sono arrivati sul mercato discografico come un fulmine a ciel sereno e da allora hanno lasciato una traccia indelebile nella storia del rock, nonostante questo però sono rimasti un gruppo da culto.
Il singer David Surkamp dalla voce particolarissima ne era il leader.La cosa più sorprendente è che la formazione di cui vi parliamo in questo articolo ha prodotto solo due albums che, nonostante la polvere impietosa del tempo, sono ancora distribuiti e quindi sono ancora facilmente reperibili, si tratta di “Pampered Menial” del 1975 e di “At The Sound Of The Bell” del 1976. Altri due titoli sono usciti in seguito e sono “Third”, pubblicazione postuma di un album registrato nel 1977 il cui titolo doveva essere "Has Any One Here Seen Siegfried?" (sul mercato se ne possono trovare varie versioni bootleg di scarsa qualità e con titoli diversi fra cui spicca “St. Louis Hound”) e “Lost In America”, un disco piuttosto debole che doveva rilanciare la band all'inizio degli anni ’90, ma che purtroppo ha fallito l’obbiettivo. Safron senza Surkamp ha dato vita alla formazione Pavlov’s Dog 2000 autrice di un solo rarissimo mini CD nel '95 con cinque brani dal titolo “End Of The World”, ma caduta ben presto nell’anonimato.
Il gruppo, nonostante le elevate potenzialità espresse, si scioglie subito dopo il secondo disco. La motivazione è dovuta principalmente ai conflitti interni fra i componenti e un po’ per colpa dell’ascesa del movimento punk che, come un uragano equatoriale, ha letteralmente fatto piazza pulita di tutti i musicisti di “vecchia scuola” riscrivendo le regole del mercato musicale di quegli anni. A questo proposito dichiara David: “Ho lasciato il gruppo perché non ero felice, dopo il successo del primo album sono piovute sulla band delle pressioni enormi e queste avevano creato una tensione interna insostenibile.
Le pressioni dei discografici ci hanno diviso perché pretendevano che incidessimo della musica commerciale di merda al solo scopo di fare soldi. Finché ero io a scrivere i pezzi tutto ha funzionato, poi improvvisamente hanno incominciato tutti a voler fare i compositori e ogni cosa si è sfasciata”.
Pampered Menial è uno dei dischi più belli e intensi del prog americano di sempre e deve un tale riconoscimento alla qualità e all’originalità della musica proposta. Gli elementi peculiari dei Pavlov’s Dog si basavano su un mix molto riuscito di folk, hard rock e progressive e sulla voce androgina e particolarissima di David che racconta: “Registrammo il disco in modo molto istintivo, come se suonassimo dal vivo ed in effetti la resa finale fu molto simile a come suonavamo in concerto. Nel gruppo c’erano molti musicisti e ognuno cercava di dare il massimo, eravamo una band davvero molto rumorosa (nda lo dice con orgoglio), così anch’io cantavo usando la voce come se fosse uno strumento musicale per emergere sugli altri. Eravamo un gruppo con una forte base folk perché io sono fondamentalmente un folksinger, ma suonavamo in modo molto aggressivo, del resto io non ho mai amato molto la musica acustica. Ma il nostro stile era anche molto progressive per via del fatto che avevamo molti strumenti insoliti per una rock band come il violino, i flauti, due tastieristi e poi perché ci piaceva mescolare sonorità diverse. Però io ho sempre cercato di puntare sul comporre principalmente ottime canzoni, senza preoccuparmi troppo del genere musicale con cui sarebbero state etichettate.”.
Surkamp in tutti questi anni non ha mai abbandonato la musica, lo ritroviamo negli anni ’80 al fianco di Ian Matthews negli Hi-Fi e ancora con Michael Quatro, ma ha comunque portato avanti una carriera solista. E' stata una vera sorpresa ritrovare David in tour nel nostro paese un paio di anni fa, con tanto di apparizioni televisive nei programmi di quel volpone di Red Ronnie (nda
grazie mille Red!). Ad accompagnare David c'erano gli Ossi Duri, una giovane formazione italiana tributo di Frank Zappa. Ma il passaggio di Surkamp ha fruttato anche una inaspettata collaborazione con la seducente Andrea Mirò (nda la compagna di Enrico Ruggeri), con la quale ha duettato nel un brano "The Fairest of the seasons" di Jackson Browne sul disco “Lucidamente”. Sempre in Italia David ha registrato il suo disco solista "Roaring With Light". “In tutti questi anni ho composto moltissimi pezzi e intendo farli uscire, magari solo su internet o attraverso la distribuzione indipendente. Le grandi case discografiche sono gestite da dei grossi ladri e sono veramente felice della crisi che stanno attraversando, se la sono proprio meritata. La mia lunga lontananza dal mercato discografico è dovuta proprio alla falsità e alla disonestà delle compagnie, dei managers e degli agenti. Io ho sempre continuato a suonare, ma preferisco regalare la mia musica ai miei fans piuttosto di darla in pasto a quei furfanti truffatori dei discografici”.
A questo punto la domanda che sorge spontanea è se sarà possibile rivedere ancora insieme la formazione originale dei Pavlov’s Dog? “A me piacerebbe davvero molto, sarebbe realmente fantastico e se la cosa si dovesse concretizzare io ci sarò di sicuro. Del resto siamo ancora tutti in contatto, mi vedo di frequente con Mike Safron, parlo spesso anche con Steve Scorfina e con Douglas Rayburn. Siamo ancora molto amici e viviamo tutti nelle vicinanze di St Louis per cui non è difficile poter fare nuovi progetti insieme.

domenica, aprile 02, 2006

La storia dei Sex Pistols


La storia dei Sex Pistols ha inizio nel 1972, quando il batterista Paul Cook ed il chitarrista-cantante Steve Jones formano una band che da lì ad un lustro entrerà nella leggenda: I Sex Pistols. Comunque il loro primo nome è "Strand", e la line-up è arricchita dai loro compagni di scuola Warwick Nightingale e Jimmy Mackin. Steve Jones, teppistello di quartiere, fa subito presagire il suo destino poichè si incarica di provvedere alle strumentazioni necessarie al gruppo, rubandole. Il chitarrista inoltre trascorre regolarmente i weekends al negozio "Let It Rock" a Kings Road, mandato avanti dai due padri spirituali del punk inglese: il truce Malcom McLaren e la stramba Vivienne Westwood. Steve chiede ai due un locale in cui esibirsi e Malcolm trova il "Covet Garden community". In quella stessa settimana arriva anche il bassista Glen Matlock. L'importanza prioritaria ora diventa quella di trovare un vocalist adatto alle esigenze del gruppo, e viene scelto un criminale con i capelli colorati, le vesti strappate e il soprannome di "Sex": è John Lydon. Viene audizionato nello stesso negozio accompagnando Alice Cooper che canta in un juke-box. Lydon poi diventerà Rotten (marcio), in seguito ai continui commenti di Steve riguardo i denti del neo cantante. La band così parte, e le influenze sono subito evidenti: Small Faces, MC5, Stooges. Nel Novembre del 1975 la prima esibizione dal vivo, accompagnando i Bazooka Joe di Adam Ant al St. Martin College a Londra.
Sono finalmente nati i "Sex Pistols". La loro prima formazione è la seguente: Rotten canta, Jones è il chitarrista, mentre Matlock e Cook sono rispettivamente a basso e batteria. Nelle seguenti date il gruppo acquista una fame inquietante per via del pogo sfrenato e delle esibilizioni violentissime. Nasce subito la prima band dei loro emuli, i "Bromley Contingent".
Successivamente si ispireranno ai Pistols i Raped, i Damned, i Dead Boys, solo per citare i più famosi. Da ora in poi sarà tutto una grande ascesa. Nel Settembre del 1976 suonano in un carcere ed ad un festival punk dove hanno modo di conoscere Sid, il batterista di Siouxsie. Ad ottobre firmano un contratto per la E.M.I. ed ecco subito il primo hit: "Anarchy in the UK". E' un successo immediato. La canzone è il punk, è il simbolo di un movimento musicale che lascierà traccia indelebile nel fututo. Contro le previsioni dei critici musicali, troppo impegnati a lodare le merdosissime canzoni disco di Bee Gees e compagnia, "Anarchy in the UK" in poche settimane raggiunge la vetta delle classifiche inglesi. Il 1 Dicembre 1976 la band dovrebbe trascorrere una serata in tranquillità, magari vedendo "Today", un programma su Thames TV. Ospiti i Queen.
Succede però che il gruppo di Freddie Mercury non può partecipare, e gli organizzatori invitano i "musicisti del momento": i Sex Pistols. Conduce Bill Grundy. Il presentatore provoca subito la band, che risponde con una serie di battute volgari: su tutto ricordiamo quella di Rotten, che invita Grundy a tornare nel grembo materno per via anale, e quella di Jones, che gli dà del porco per tutta la serata in seguito ad un apprezzamento del conduttore su Siouxsie. Il giorno dopo tutte le copertine sono per loro: la bigotta stampa inglese vuole che i quattro siano immediatamente oscurati e dimenticati: la E.M.I. li licenzia, anche perchè era stanca di subire continue rapine da parte dei Pistols. Subito arriva la firma per la A&M, che li caccia dopo poche settimane, senza il tempo di pubblicare "God Save the Queen", e "The great Rock'n'Roll Swindle", un film. Infine si accasano presso la Virgin, dove pubblicano i loro lavori già pronti. "God save the Queen" viene presentata su una chiatta sul Tamigi, ed i Pistols suonano ed urlano mentre si sta festeggiando il giubileo per Elizabeth. Per la cronaca, la festa in barca viene interrorrotta dai poliziotti e per gli insulti alla regina e per l'orgia che era ormai pienamente in atto e vedeva protagonisti i magnifici quattro. Anche Rotten e soci festeggiano, con una canzone il cui testo recita: "Dio salvi la regina, che il regime fascista ha reso cretina". Seguono altri due singoli: "Pretty Vacant" e "Holidays in the sun". Nel Novembre del 1977 ecco l'album "Never mind the Bullocks- Here's the Sex Pistols", che arriva subito alla cima delle classifiche, nonostante molti negozi si siano rifiutati di venderlo. A Dicembre parte il tour, che si concluderà con un memorabile concerto il 10 Gennaio 1978 a San Francisco. Rotten chiede al pubblico: "Non vi sembra di essere stati truffati?" e subito dopo annuncia la fine del gruppo. Fino alla fine coerenti con i loro pensieri, si sono sciolti quando hanno capito di essere solo uno strumento di business, compiendo fino in fondo la parabola di autodistruzione. Sid Vicious poi, nell'Ottobre del 1978 uccide a coltellate la ragazza,e il 2 Febbraio del 1979, pochi giorni prima del processo, si uccide con una dose mortale di eroina, che si dice gli sia stata passata dalla madre, morta pochi anni fa per abuso di alcool. Sid è il primo martire del punk: i morti per droga saranno molti tra il '75 e il '79, e l'esercito punk perde anche Johnny Thunders, famoso cantante. Recentemente invece, ci ha lasciati anche il leader dei disciolti Dead Boys, Steve Bators.Naturalmente i Pistols non si sono fermati: Jones e Cook sono rimasti nell'ambito punk, mentre Lydon ha avuto un grande successo con i PIL, pietra miliare del new-wave. Parlare delle carriere degli altri Sex Pistols sarebbe dispersivo, perciò saltiamo direttamente al 1996. I re del punk si riuniscono per una tourneè, cantando i loro grandi successi. Questo però è il passo più brutto della loro storia: senza Vicious, quarantenni grassi e acciaccati, sembra che i quattro ex-ragazzacci abbiano ripreso in mano gli strumenti per rimpinguare il loro peraltro ricco conto in banca. Per la cronaca, esiste anche un album live che testimonia la loro patetica reunion.

The Blues Brothers


John Belushi,
Malgrado abbia fatto una manciata di film e un paio di album musicali a nome dei “Blues Brothers”, John Belushi, forse anche per la morte prematura avvenuta per overdose, si è conquistato un posto fra i miti di questi ultimi decenni. John nasce a Chicago il 24 gennaio 1949, ma cresce nella periferia e precisamente a Wheaton, nell’Illinois dove i genitori, di origine albanese, si trasferiscono quando ha appena sei anni. Consegue il diploma nel 1967 ed è già popolare fra i suoi coetanei per la sua attitudine a far ridere nei vari spettacoli organizzati nella scuola. Così, incoraggiato dal suo professore di arte drammatica, decide di abbandonare il suo progetto di diventare allenatore di football per dedicarsi alla carriera di attore, contro il desiderio del padre che lo vorrebbe al suo fianco nella gestione di un ristorante. Nel febbraio del 1971 va a Chicago per una audizione nella commedia “Seconda città” e viene subito ingaggiato: ha appena compiuto 22 anni e gli altri membri della troupe capiscono che è destinato a rubar loro la scena.
Lo spettacolo, a contenuto prettamente satirico, si svolge sei giorni alla settimana e permette al nostro di imporsi nelle caratterizzazioni che lo contraddistingueranno in futuro: fa la parte del sindaco di Chicago, di Amleto e soprattutto di Joe Cocker, che lo farà notare a certo Toni Hendra, il quale riesce ad averlo per il suo show “Lemming”, che fino a quel momento non va affatto bene. E’ in questo periodo che comincia a fare uso di droghe, amfetamine; quando gli chiedono come fa a rimanere così rilassato sul palco lui risponde “perché quello è l’unico posto dove so ciò che faccio”. La sua performance di Joe Cocker per il nuovo spettacolo fa letteralmente crollare i teatri dagli applausi e la gente accorre da ogni parte per vederlo. La voce sembra essere una perfetta imitazione, i movimenti del corpo, delle braccia e delle mani, assomigliano in modo impressionante a quelli del cantante nel concerto di Woodstock. Nel 1975 entra nelle case di tutti gli americani con il programma televisivo “Saturday night live” uno show che coniuga comicità e musica rock e che si impone soprattutto fra i giovani. Nasce qui l’idea dei Blues Brothers sviluppata con l’amico Dan Aykroyd. Intanto John Landis lo vuole nel film “National Lampoon’s Animal House” e, nonostante appaia in una dozzina di scene, è l’artefice del successo del film che oggi è diventato un cult movie proprio grazie al personaggio laido e goliardico di “Blutarski” interpretato da John. “Animal House è del 1978 e ad esso seguono “1941-Allarme ad Hollywood” (1979) di Spielberg, in cui interpreta il pazzo pilota ubriacone e bellicoso, “The Blues Brothers (1980) in cui insieme all’amico Dan Aykroyd interpreta personaggi televisivi già noti riuscendo a coinvolgere nel progetto i suoi idoli musicali di sempre, Ray Charles, Bo Diddley, Aretha Franklin, John Lee Hooker e James Brown. Ormai John Belushi è una star conosciuta in tutto il mondo. Sebbene interpreti parti un po’ da …ragazzaccio, nella vita si adopera per gli altri, è un vero e proprio filantropo: aiuta innanzitutto i genitori comprando loro un ranch fuori San Diego, aiuta gli amici di Chicago nei loro affari e aiuta il fratello minore Jim a farsi strada nel cinema (anche Jim diventerà un affermato attore, da lì a qualche anno). Ma John è di carattere fragile, insicuro, autodistruttivo, diventa sempre più schiavo delle droghe. Farà altri due films più impegnati, “Chiamami Aquila” e “I vicini di casa”, in cui rivela tutta la sua bravura non solo in ruoli comici. Il 5 marzo del 1982 viene trovato morto nella camera di un albergo per una overdose di eroina, in circostanze per la verità non ancora del tutto chiarite e simili a quelle che un decennio prima avevano visto privare il mondo della musica rock di artisti come Jimi Hendrix, Janis Joplin, Brian Jones, Jim Morrison: tutti, fatalità, con una “j” nel loro nome. Nel funerale, a guidare la processione, è il suo amico di sempre Dan Aykroid a bordo della sua motocicletta, con indosso la giacca di pelle nera e jeans neri, e quando la neve comincia a cadere il suo amico cantautore James Taylor nel cimitero canta “That lonesone road”. È difficile non aver amato la figura tozza ed espressiva di questo cantante-attore dall’agilità impressionante. La sua comparsa sulle scene, anche se rapida come una meteora, è stata un vero evento negli anni ottanta e molti hanno apprezzato il suo carattere straripante, irascibile, eccessivo, perché fuori di quelle regole convenzionali in cui spesso ci sentiamo ghettizzati.
The Blues Brothers Ci sono i film ed i cult movies, e The Blues Brothers appartiene decisamente alla seconda categoria: se, parafrasando
Calvino, un classico è un libro che non finisce mai di dire quel che ha da dire, lo stesso vale per il film di John Landis, visionabile virtualmente all’infinito con nuovi particolari che colpiscono di volta il volta lo spettatore ad libitum. La storia inizia con Jake Blues che esce di prigione, ad attenderlo c'è suo fratello Elwood: i due indossano vestiti neri, cravatte e cappelli neri, occhiali neri, ed hanno i propri nomi scritti a biro sulle dita delle mani. Presto davanti ai fratelli Blues si delinea una missione: trovare cinquemila dollari per pagare le tasse e salvare l’orfanotrofio in cui sono cresciuti. Per riuscirci dovranno rimettere in piedi la loro vecchia blues band, composta da musicisti riciclatisi ad altre occupazioni e che non hanno la benché minima idea di rimettersi in gioco. Ma c’è una missione per conto di Dio nel mezzo, e il gruppo risorge. Tra un'esibizione e l'altra, con turme di poliziotti, una falange di neo-fascisti ed un’ex fidanzata eternamente alle calcagna, i due fratelli passano da epici inseguimenti a cataclismi vari, ma si rialzano sempre spolverando i loro vestiti neri, come niente fosse. The Blues Brothers è l'esempio per eccellenza della comicità demenziale e surreale, con un formidabile John Belushi at his best, sulfureo padrone del palcoscenico ma pronto a fulminare lo spettatore col suo sguardo magnetico nei soli cinque secondi in cui si toglie gli occhiali d’ordinanza. Non di sola comicità vive il film, supportato da performances di blues da brivido e da un cast con un'incredibile serie di guest stars: un irresistibile Ray Charles in versione venditore di strumenti, James Brown che fa il predicatore a suon di gospel, Cab Calloway/custode dell’orfanotrofio, Aretha Franklyn gestrice di uno snack bar, ed ancora Twiggy, il regista Frank Oz, perfino un giovane Steven Spielberg che fa l'esattore delle tasse. Imperdibile, unico, semplicemente geniale: un contagioso inno alla musica blues, da vedere e rivedere all'infinito. Con un sequel, Blues Brothers 2000 (uscito in Italia col titolo Blues Brothers - Il mito continua), firmato ancora da Landis nel 1998.
I Blues Brothers nacquero alla fine degli anni '70 nel periodo del massimo declino dellafilosofia soul. John Belushi e Dan Aykroyd alias Joliet Jake ed Elwood Blues, seppure noneccelsi musicisti, ebbero il merito di fondare la mitica band che rilanciò l'immagine delsoul, si può dire, in tutto il mondo. John e Dan erano due attori appassionati di musica, John stava lavorando ad "AnimalHouse", Dan ad uno show per ragazzi, John voleva Dan per il suo film e fu così chesi incontrarono. Furono colpiti già dal primo incontro e pensarono che sarebbe stato bello suonareinsieme. Con loro c'era anche Howard Shore che sarebbe poi diventato il direttoreartistico del Saturday Night Live, fu lui a suggerire subito il nome: "potrestechiamarvi Blues Brothers". I primi pezzi che convinsero i due a suonare il Blues furono everything i need(almost) e shot gun blues. John e Dan si tennero in contatto per un po', architettando alla perfezione il progetto che li avrebbe portati in poco tempo a sfondare. Presero spunto da una copertina di un disco di John Lee Hooker dove lui indossava occhiali da sole e cappello, per quanto riguarda il vestito si ispirarono alla divisa dei M.I.B. i Man In Black, che ben si adattavano al periodo beat. Suonarono per la prima volta al Lone Star con Duke Robelard e i Room Full of Blues. Ora avevano il loro show ma non sapevano dove esibirsi, fu allora che pensarono di farsi aiutare dal loro amico Howard Shore che li portò al Saturday Night Live, proponendo loro di suonare king bee vestiti da ape. Inizialmente furono riluttanti ma poi accettarono. Dopo il numero dell'ape, suonato con i musicisti del S.N.L. decisero di creare un complesso, Tom Malone trombettista del S.N.L. gli disse: "dovreste prendere Steve Cropper e Duck Dunn, non avete mai sentito le canzoni prodotte dalla Stax ? Quei tipi sono ancora in giro e suonano ancora...". I due fuoriclasse accettarono e allora si verificò un evento musicale fondamentale: i Blues Brothers fusero il Blues elettrico di Chicago e la musica di Memphis con la sezione fiati e la musica ispirata a OtiS Redding. Cercavano canzoni che non fossero blues tradizionali, perchè anche se si definivano gruppo Blues volevano cambiare, volevano il sound di Chicago, di Memphis, del reggae, del rock'n roll anni '50 tutto fuso insieme, per creare qualcosa di nuovo. Così nel 1978 naque il primo disco, "Briefcase full of blues" che vendette 3.500.000 copie. Sull'euforia dell' LP a Hollywood vollero un film la cui sceneggiature fu scritta da Elwood e Landis, film che sancì definitivamente la popolarità dei Blues Brothers in tutto il mondo. Furono registrati ancora due album con la formazione originale: la colonna sonora del film e "Made in America", dopo di che nel 1982 John Belushi morì. La The Blues Brothers Band esiste ancora e produce dischi utilizzando Eddie Floyd e Larry Thurston come cantanti, saltuariamente accompagnati da Elwood e mantenendo il resto del gruppo pressochè invariato. Nel 1998 stiamo assistendo ad un ulteriore ritorno dei Blues Brothers, grazie al nuovo film: Blues Brothers 2000.

sabato, aprile 01, 2006

Woodstock un mito


Proprio con il Woodstock Music and Arts Fair, che si apre il 15 agosto '69 e che diventerà famoso in tutto il mondo come Festival di Woodstock,la cultura hippie trova la sua massima espressione.
A causa delle esagerate misure restrittive adottate dalle autorità locali il concerto non può essere allestito come previsto nella piccola cittadina di Woodstock,a nord di New York,ma si svolge a circa 80 Km di distanza a White Lake,presso Bethel.
I preparativi per quei fatidici 3 giorni di musica ,da venerdì 15 agosto a domenica 17,erano costati circa 9 mesi di lavoro;un coltivatore,Max Yasgur,per 275000$ mise a disposizione degli organizzatori(John Roberts,Joel Rosenman,Artic Kornfeld e Michael Lang) 243 ettari dei suoi appezzamenti.Ma quando,invece dei 60000 spettatori attesi,si mettono in marcia verso Woodstock circa un milione di persone,tutta la programmazione logistica della manifestazione salta."Solo" mezzo milione(forse qualcosa di più)di persone però riuscirono a raggiungere il luogo del festival,gli altri vengono fermati prima di arrivarci.Le strade del circondario erano completamente paralizzate per chilometri,così che sia i gruppi musicali che i rifornimenti di generi alimentari e di acqua potabile venivano trasportati con mezzi aerei.Le esibizioni degli artisti,colpa anche dei violenti acquazzoni che imperversarono sul posto nel bel mezzo del concerto e dei guai dovuti all'insufficiente elettricità sul palcoscenico,continuavano a slittare anche di diverse ore,senza mai rispettare l'orario prestabilito.Alla fine del grande raduno,che,scardinata ogni formalità di tempo e di spazio,si era prolungato fino a lunedì 18 agosto,la fattoria di Max Yasgur era diventata un pantano;si tentò una bonifica ma le condizioni del terreno erano in uno stato troppo pessimo.John Roberts,uno degli organizzatori,dice:"nel 1980 raggiungemmo la parità e coprimmo le spese.I nostri guadagni sono cominciati 11 anni dopo il festival.Se Rosenman,Kornfeld,Lang ed io avessimo investito i nostri soldi nel peggior modo possibile,avremmo guadagnato molto di più e molto prima."Molti giovani giunti a Woodstock si riconbbero così per la prima volta in una comunità,e forse proprio in questo(aldilà delle esperienze all'insegna del sesso,droga e rock'n'roll)sta il vero momento formativo del festival,cioè lo scoprirsi parte di una schiera sconfinata di persone con gli stessi problemi e gli stessi sogni.Ma i concetti e i pensieri delle comunità hippie,che trovarono la loro massima amplificazione nel concerto più pacifico e pacifista della storia,la speranza di una "nuova era" e di un "futuro meraviglioso",rimasero alla base di una rivoluzione mai realizzata;col tempo coloro che vi credevano si sono ricreduti e via via si sono integrati nel sistema.La straordinaria esibizione(ai limiti dello svenimento) di Jimi Hendrix,ultimo a salire sul palco di Woodstock alle quattro e mezzo di lunedì mattina(avrebbe dovuto suonare alle ore 23 di domenica),resta nella storia dei grandi raduni musicali :l'esecuzione,in chiusura,distorta di "Star Splanged Banner",l'inno americano,sembrava esprimere tutto il disagio e la delusione dei giovani di quel periodo,che forse stavano già accorgendosi di essere arrivati alla fine di un sogno.
Woodstock offriva tutto,o quasi,il meglio della scena musicale dell'epoca.Ad alcuni gruppi portò la fama,per altri rappresentò la decadenza,per altri ancora fu solo un flash;qualcuno era all'apice dell'eccitazione,qualcun altro addirittura seccato di esibirsi..Erano presenti artisti già affermati come Jimi Hendrix,Janis Joplin,Greatful Dead(che però definiscono Woodstock il loro peggior concerto in assoluto, a causa delle pessime condizioni cimatiche in cui si esibirono),Jefferson Airplane,gli WHO;ma c'erano anche dei musicisti che avrebbero raggiunto il successo molto dopo,e che allora erano solo alle prime armi o addirittura all'esordio:è il caso ad esempio di Joe Cocker(il numero massimo di spettatori per cui aveva suonato era di 600),Crosby Stills Nash & Young,Ten Years After,Sha na na(formatisi solo da poche settimane),la Santana band(il cui batterista aveva solo 16 anni) e di altri gruppi meno popalari;si può quindi facilmente comprendere la grande tensione e il nervosismo di questi artisti "sotto esame",a suonare davanti a mezzo milione di persone(roba che non vedi più dove finiscono le teste!).Sentiamo le impressioni di alcuni protagonisti:
Carlos Santana:"nel retro palco ognuno la pensava in modo differente: chi se la prendeva in modo rilassato,chi era incazzato perchè non aveva la limousine.Era chiaro che lo spirito dell'estate e dell'amore era del tutto andato..."Joe Cocker:"volai in elicottero fino al retro del palco e montai su.Tutta la mia band aveva preso l'acido meno io[...].Chris Stainton mi diceva di rilassarmi,ma era difficile.[...]Devo ammettere che avemmo fortuna e ci esibimmo ad un ora decente,da vere rockstar,cosa che proprio non eravamo".
Mc Cullogh(chitarrista di Joe Cocker):"Se ci ripenso,e quando ci ripenso,mi pare che sia stata per me un'esperienza appartenuta ad un'altra vita!".
P.Townshend:(chiterrista degli WHO):"Bevetti un caffè ed era stato corretto con LSD.Quando andai sul palcoscenico ero incazzato nero.[...]Poi ero seccatissimo.Intorno a me c'erano questi stronzi di americani fricchiettoni che me la continuavano a menare con una nuova era[...]Noi,d'altronde,non eravamo mai stati pagati così tanto!".Alvin Lee:"Dovemmo aspettare sette ore prima di suonare con tutti quei poveretti a prendere acqua lì fuori.Andammo su che non eravano neanche più nervosi.[...]dopo qualche centinaia di teste non capivi quanta gente c'era.Per noi far parte del film fu il più grosso affare della nostra vita;passammo da arene da 2000 posti a stadi da 20000.Anche se si rileva l'inizio di una lenta fine perchè non eravamo una band pronta a tali dimensioni".
David Crosby:"Ce la facevamo sotto.Era la nostra prima esibizione e c'erano i musicisti che più stimavamo a 2 metri da noi,appoggiati agli amplificatori per vedere il nostro show.E noi tre a intonare armonie vocali intricate e complesse.Suonammo bene e questa è la cosa più importante".
Jimi Hendrix:"Ho apprezzato il senso di non violenza del festival e il pubblico che ha accettato tutte queste difficoltà.Hanno dormito nella melma e se ne sono andati dicendo che era un gran festival.Questo è accaduto perchè i ragazzi sono stanchi di far parte di gang giovanili,o di gruppi politici o di sentire le parole del presidente.I giovani cercano una direzione differente.Sanno di essere sulla strada giusta ma non sanno questa da dove parte e dove porterà."
Negli anni a seguire Woodstock diventa un mito agli occhi dei giovani di tutto il mondo e viene trasformato in un evento commerciale con la produzione di dischi e di un film girato da Weldeigh,Schoomaker e Martin Scorsese alla guida della cinepresa centrale.Oggi tuttavia credo che riproporre un raduno come quello di Woostock sia sì un idea allettante,ma impossibile da realizzare,primo perchè i tempi cambiano e non sarebbe mai la stessa cosa,secondo perchè sarebbe di sicuro un evento puramente commerciale.Negli USA poi ci hanno già provato nel '94 ed il festival si è dovuto interrompere per l'esplosione di un incendio appiccato da una banda di teppisti durante l'esibizione dei Red Hot Chili Peppers.